Ombra profonda siamo

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    Sigrid Adakandottir; Völva
    oDIH06c Sigrid strinse le palpebre con forza. O sarebbe più corretto dire che il volto di Sigrid venne percorso da uno spasmo incontrollato, che la indusse a contrarre i muscoli e le sue palpebre si strinsero da sole.
    Era una giornata fredda, ma il sole splendeva alto nel cielo e avrebbe sciolto le nevi circostanti almeno in parte, di certo quel tanto che bastava per dissolvere i blocchi di ghiaccio che ostruivano il normale scorrere dei ruscelli.
    Una giovane donna con una cascata di capelli scuri e ricciuti si trovava in piedi in mezzo al paesaggio. Sigrid aguzzò la vista e il viso della ragazza divenne immediatamente visibile. Scoprì che era più giovane dell'età che avrebbe potuto assegnarle guardandola solo di spalle. La statura e la corporatura solida e allenata l'avrebbero indotta ad attribuirle qualche anno in più, ma il viso era completamente liscio e dai lineamenti ancora acerbi, perciò Sigrid concluse che non poteva avere più di tredici o quattordici anni.
    La ragazza si ergeva come una statua di ghiaccio, con gli occhi intensi che scrutavano l'ambiente circostante come quelli di un falco. La bionda si aspettò quasi di sentirsi chiamare quando il suo sguardo fosse passato su di lei, invece gli occhi della bruna continuavano a setacciare lo scenario naturale passandole attraverso, come se fosse stata uno spettro invisibile. Provò l'impulso di muovere un passo in avanti, verso quella giovane guerriera, ma prima che potesse anche muovere un solo muscolo, le spalle di queste vennero scosse da un tremito. Il sole finì di percorrere il suo arco in cielo e le ombre intorno a loro si allungarono repentinamente. Ma erano diverse rispetto a quelle a cui Sigrid era abituata: queste si muovevano non soltanto in modo opposto rispetto al sole. Sembravano agitarsi per conto loro, seguire una propria volontà. Erano in qualche modo vive.
    Le ombre sibilarono nervosamente e Sigrid colse tutto l'astio nelle loro voci, poi scattarono verso una direzione comune. La ragazza non poté fare nulla per impedirlo, le ombre si scagliarono contro la giovane guerriera bruna che cadde in ginocchio gemendo. Schizzi di sangue macchiarono il paesaggio e il suo volto, ma Sigrid sapeva che non apparteneva a lei. Il suo dolore era però tangibile: quel sangue apparteneva a qualcuno a lei molto caro.

    Si sentì scuotere e spalancò gli occhi come se una forza esterna avesse voluto strapparle le palpebre. Sigrid ansimava pesantemente e aveva la fronte imperlata di sudore freddo.
    "Ha avuto un'incubo?" chiese una voce concitata.
    Seguirono dei rumori di qualcosa che veniva mosso. "Ha... forse visto qualcosa?"
    "Io lo so cosa sono, sono i suoi sogni di sangue" riprese la prima voce.
    Sigrid ora era sveglia e le figure di un uomo e di una donna erano vivide e a fuoco davanti ai suoi occhi. Si tirò a sedere sul giaciglio che occupava la notte, avvertendo sulla pelle il ruvido della coperta con cui si teneva al caldo.
    L'uomo e la donna erano rispettivamente Helga e Torstein, i suoi padroni. Li riconobbe quasi subito, quella volta uscire dal sogno era stato più facile delle precedenti.
    "Sigrid!" la chiamò Helga con apprensione, non appena si accorse che era sveglia.
    Gli occhi chiari della schiava vagarono da un volto all'altro mentre cercava di decifrare le loro espressioni, ma non le occorse troppo tempo. Sapeva cosa era successo, non era di certo la prima volta. Capitava sempre più frequentemente che di notte nel sonno, ma anche di giorno durante la veglia, immagini oniriche come quella appena vista la visitassero. Quando succedeva alla luce del sole, Sigrid perdeva il controllo per alcuni istanti, ma poi riusciva a tornare presente a se stessa abbastanza rapidamente da non destare alcun sospetto. Tornava così a dedicarsi ai lavori che i suoi padroni le assegnavano come se nulla fosse stato, o quasi. Ma quando le visioni arrivavano nel sonno, quando lei era abbandonata, incosciente e vulnerabile, non poteva esercitare su di loro alcun controllo. Scacciarle diventava impossibile e la vista del sangue che di solito le corredava la faceva agitare, gemere, a volte gridare. Helga e Torstein erano più volte stati svegliati dalle sue urla notturne e con un misto di apprensione e spavento di fronte all'ignoto si erano avvicinati a lei. Erano riusciti a vincere la riluttanza iniziale della schiava, convincendola a raccontare gli incubi che la tormentavano.
    "Non sono incubi" aveva detto un giorno Helga, con gli occhi gradi che riflettevano le fiamme che guizzavano nel braciere. Sosteneva che si trattasse di visioni e Sigrid in cuor suo sapeva di averlo sempre saputo. Date le tinte fosche di quelle, lei e Torstein avevano iniziato a chiamarle "sogni di sangue".
    Sigrid sbatté le palpebre, chiedendosi chi fosse la giovane donna bruna che aveva visto quella notte.
    "E' quasi l'alba" disse Torstein, alzandosi dalla posizione accosciata in cui si trovava. "Preparati. Alle prime luci del sole partiremo."
    "Dove andiamo?" chiese la schiava, confusa. Porre domande non faceva parte dei suoi doveri, ma quella volta non era riuscita a impedirselo.
    "Andiamo a trovare lo Jarl" rispose l'uomo.
    Sigrid non pose altri quesiti, ma sapeva che quella visita allo Jarl aveva qualcosa a che fare con i suoi sogni di sangue.

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    Egon Leif Edricson; Jarl
    2mrxwtwEra stata una settimana piuttosto impegnativa per lui. Non era abituato ad aspettare con così tanta ansia gente da altre contee, probabilmente a causa della sua diffidenza nei confronti di tutto il mondo. Quella volta, però, era diverso: non sapeva gestirsi molto bene la sua unica völva, figurarsi una seconda. Non sapeva neanche come comportarsi di fronte a lei, che cosa chiederle né tantomeno come appellarlesi. Ogni tanto, la sua fede negli déi veniva a mancare, e ciò influiva anche su tutto ciò che la riguardava: spesso stentava a credere ai veggenti, o a chi diceva di agire soltanto in nome di Odino. Egon era sempre stato un tipo piuttosto pratico, e non era solito bersi quel tipo di scuse: l'essere umano era nato per approfittarsi di qualsiasi cosa, per cui per lui era assurdo vivere in funzione di un dio o di più déi. Ovviamente, non poteva dire non crederci: era cresciuto con l'idea che un giorno avrebbe raggiunto il Valhalla e che lì avrebbe trovato tutte le divinità che aveva adorato durante la vita, eppure ciò non era mai riuscito a segnarlo. Per quel motivo si trovava a disagio con una qualsiasi völva o, comunque, con un qualunque veggente: quelle persone avevano basato la loro vita sulle loro visioni, e lo jarl stentava sempre a crederci. Quando gli era arrivato il messaggio delle due persone che, apparentemente, possedevano una völva, dunque, Egon era rimasto abbastanza scioccato dalla cosa. Il suo consigliere fidato, però, gli aveva suggerito di accettare e di testare le abilità della ragazza, in modo da poterla eventualmente tenere come scorta, casomai la loro vecchia veggente fosse venuta a mancare. Una bocca in più da sfamare non gli avrebbe poi cambiato la vita, ed in casa sua c'era decisamente spazio, visto che non aveva fratelli né una moglie o dei figli. Quel giorno, però, si era svegliato già nervoso all'idea di dover affrontare una situazione del genere: sarebbe stato imbarazzante oppure assolutamente elettrizzante? Ovviamente, aveva indetto un Thing, ed anche i suoi guerrieri sarebbero stati presenti per giudicare. Sperava solo che nessuno si sarebbe reso ridicolo, perché la questione era piuttosto importante. Se questi poteri fossero stati veri, infatti, la völva sarebbe potuta essere un asso nella manica nei confronti dei suoi nemici. Insomma, avrebbe potuto momentaneamente impiegarla come risorsa da quel punto di vista. Aveva dunque indossato la sua giacca imbottita, poi si era seduto su una panca della sala principale, aspettando qualche segno. Il fuoco che veniva perpetuamente tenuto acceso scoppiettava al centro della stanza, gettando una luce dorata su ogni cosa. I suoi occhi si perdevano per minuti interi in quelle fiamme, come se il fuoco avesse qualcosa di particolarmente interessante da offrire. Pian piano, l'avevano raggiunto quasi tutti i suoi guerrieri, che gli avevano dato una pacca sulla spalla in segno di amicizia. Quando poi il suo consigliere era spuntato dalla porta principale, Egon si era alzato in piedi in un attimo: l'uomo gli aveva fatto un cenno ben chiaro con la testa, poi si era spostato lateralmente. La folla si divise in due semicerchi, lasciando una sorta di corridoio in mezzo. Lo jarl era davanti alla sua sedia, aspettando che la famiglia si presentasse. Il primo ad entrare fu un uomo magrolino, chiaramente un contadino, data la pelle scurita dal sole. Fece un piccolo inchino ad Egon in modo quasi intimorito, allungando un braccio verso fuori. Quando se lo riportò al petto, con esso entrò anche una ragazzina bionda, dal viso angelico e spaurito. Dietro di lei c'era una donna, presumibilmente la moglie dell'uomo. Tutti e tre camminarono con passo incerto verso lo jarl, guardandosi attorno: nessuno sembrava fiatare. Quando, finalmente, lo raggiunsero, lo fissarono negli occhi, cercandovi chissà che cosa. Egon prese un bel respiro, scrutando tutti quanti.
    « Benvenuti. Io sono lo jarl Egon. » li accolse dunque, sperando di farli sentire un po' a loro agio. Erano chiaramente spaventati da chissà cosa -come se Egon fosse un carnefice- per cui lo jarl scese gli scalini che lo distanziavano da loro e si portò alla stessa altezza, parandoglisi davanti.
    « Che cosa vi affligge? » chiese, abbozzando appena un sorriso. Sperava solo che non si comportassero male con quella povera ragazza, visto che era già abbastanza spaurita da tutto ciò che le stava capitando. Gli avevano scritto che quella non era la loro figlia, e probabilmente non vedevano l'ora di liberarsene. Non era facile avere in casa una völva, specialmente una alle prime armi -o comunque molto giovane. Posò per un momento gli occhi su di lei, fissandola e cercando di capire se avesse paura di lui o di qualcos'altro.

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    Edited by varden - 7/4/2015, 13:17
     
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    Sigrid Adakandottir; Völva
    oDIH06c Sigrid aveva lasciato la casa di Torstein e Helga camminando dietro di loro. Si era lanciata un'ultima occhiata alle spalle prima che la piccola dimora di legno e paglia svanisse dietro la cima della collina che stavano risalendo, domandandosi se, dopo l'incontro che programmato con lo Jarl, l'avrebbe rivista.
    La schiava non sapeva nulla a riguardo, aveva solo sentito i suoi padroni parlare tra loro, in particolare Torstein aveva confermato alla moglie che aveva scritto a Jarl Egon e che questi aveva risposto concedendogli udienza, ma Sigrid non aveva idea del perché fosse tanto necessaria. Non sapeva cosa aspettarsi dai suoi padroni, men che meno dal capo della contea.
    Torstein e Helga erano sempre stati umani con lei, l'uomo non l'aveva mai picchiata e si erano limitati a rimproverarla quando commetteva qualche errore. Ma il loro atteggiamento di fronte ai suoi sogni di sangue era enigmatico e imperscrutabile. Non avevano detto nulla di diretto alla ragazza, si erano limitati a porle delle domande e a insistere affinché lei raccontasse con dovizia di dettagli le sue visioni. Quando lei obbediva, loro ascoltavano attentamente, di tanto in tanto scambiandosi delle occhiate sul significato delle quali Sigrid non sapeva esprimersi.
    Di certo quel dono - o quella maledizione per certi versi - li incuriosiva. Inizialmente la schiava era stata riluttante a parlare dei suoi sogni perché temeva di essere presa per una bugiarda e un'impostora, ma almeno su quel punto le reazioni dei suoi padroni erano state sufficientemente chiare da spazzare via ogni dubbio. Erano certi che lei non mentisse, o non avrebbero insistito tanto per conoscere ogni dettaglio. Quanto a cosa pensassero delle visioni in sé però Sigrid non sapeva dire nulla. Sembravano in parte affascinati, ma in parte anche allarmati. Ed era quella sinistra luce di preoccupazione nei loro occhi che la inquietava. Cosa volevano fare? Consegnarla allo Jarl affinché quest'ultimo facesse... che cosa?
    Troppi punti interrogativi, troppe domande. Sigrid sospirò più volte durante il viaggio, dicendosi che avrebbe scoperto tutto una volta arrivata, ma ciò non era bastato a tranquillizzarla particolarmente.
    Giunsero a destinazione, l'edificio stretto e lungo di legno nel quale lo Jarl li attendeva rumoreggiava già per via del numero di persone che vi si erano raccolte. Nell'udire quel rumore, così simile a quello prodotto da un alveare ronzante, Sigrid si fermò di botto e spalancò gli occhi.
    "Che succede?" domandò Torstein, accorgendosi che lei non li seguiva più.
    La schiava nemmeno riusciva a descrivere a parole il suo disagio. Aveva immaginato l'incontro con lo Jarl, senza per altro riuscire a figurarsi le conseguenze dello stesso, ma non era preparata a incontrare una piccola folla.
    Il suo sguardo smarrito oscillò tra l'uno e l'altra dei suoi padroni, poi Torstein le rivolse un secco gesto della mano.
    "Allora? Sbrigati."
    Obbediente, Sigrid chinò la testa e si incamminò nuovamente dietro di lui, questa volta Helga chiudeva il trio, quasi preoccupata che la schiava potesse fermarsi ancora.
    Una volta dentro, il chiacchiericcio si intensificò, investendoli in pieno. La ragazza camminò tra due ali di persone che avevano gli occhi puntati su di lei e provò l'impulso di scapparsene e tornare indietro, ma la figura di Helga alle sue spalle glielo impediva. Continuò allora a camminare, con gli occhi bassi e le guance in fiamme, finché non furono al cospetto dello Jarl.
    Questi si presentò e scese gli scalini che li separavano per fronteggiarli, allora Sigrid fu costretta ad alzare gli occhi su di lui.
    Almeno ha lo sguardo gentile, pensò, o questa fu comunque la sua prima impressione.
    "Jarl Egon" rispose Torstein dopo un po', "questa ragazza è mia schiava. La comprai qualche mese fa nella contea di Copenhagen e non ha mai dato problemi. Ma da qualche tempo mia moglie ed io abbiamo scoperto che fa dei... sogni, che vede delle cose. Riteniamo sia una völva e volevamo sapere cosa dovremmo fare con lei."

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    Egon Leif Edricson; Jarl
    2mrxwtwI tre sembravano piuttosto compatti: l'uomo, che doveva essere il Torstein della lettera, teneva la ragazza per le spalle, come se la volesse far sentire al sicuro. La donna, invece, si guardava attorno piuttosto impaurita, forse perché non era mai stata al centro dell'attenzione in un Thing. Egon, ovviamente, sapeva bene come ci si sentisse in quelle situazioni, per cui non richiamò la contadina all'attenzione. Si concentrò su Torstein, che prese la parola per primo: nonostante la ragazza sarebbe stata chiaramente in grado di parlare per sé, quello volle fare le sue veci. Gli disse che la bionda era la loro schiava, che l'aveva comprata a Copenhagen e che non gli aveva mai dato alcun problema. Gli occhi dello jarl si spostarono per un momento su quelli di lei, fissandola con un'espressione tra il curioso ed il dubbioso. Dunque, la völva non era di Gothenburg. Probabilmente gliel'aveva specificato nella lettera, ma Egon non era solito rileggere più volte i comunicati che gli arrivavano. Non che la cosa lo sconvolgesse, dopotutto: Copenhagen faceva parte del Regno Unificato, e fino a prova contraria non sarebbe potuta essere una spia, o almeno sperava. Tra l'altro, non ne aveva l'aspetto. Ritornò a guardare Torstein proprio quando quello parlò di sogni, assottigliando lo sguardo e cercando di capire che cosa avesse intenzione di fare l'uomo. Concluse dicendogli che, secondo loro, era una völva e che erano venuti lì per chiedergli che cosa avrebbero dovuto farsene di lei. Egon si ritrovò a sospirare, voltandosi ancora verso la biondina spaurita. Non sembrava esattamente una veggente, ma lui non era in grado di giudicare certe cose. Come avrebbe potuto decidere se la ragazza fosse stata una völva o meno? Non rientrava tra le sue abilità. Avrebbe potuto chiamare in causa l'indovina del villaggio, ma non era sicuro che sarebbe stata troppo sincera con tutti loro. Quella donna voleva chiaramente tenersi il suo posto, non avrebbe mai dichiarato una völva giovane e carina come tale. Lo jarl si portò una mano alla barba, guardandosi attorno: la gente era curiosa, ed alcuni provarono ad alzarsi sulle punte pur di intravedere lo sguardo del loro signore. Qualche guerriero lo fissava con le braccia conserte e le armi ben coperte dalle pelli e dai foderi, quasi come se si fossero aspettati qualcosa di più di un semplice ricevimento. Qualcuno sembrava persino spaventato dalla presenza della biondina, tanto che poteva scorgere occhi sgranati e teste chinate. Egon si schiarì la voce, tornando a fissare Torstein -non senza lanciare uno sguardo inquisitore alla moglie, prima.
    « Le völve non possono essere sprecate per lavori manuali. Bisogna sempre impiegarle in modo da farle comunicare con gli déi. Credo siate d'accordo, giusto? » gli domandò retoricamente. Erano donne normali, dopotutto, ma semplicemente spesso non avevano modo di svolgere dei compiti altrettanto comuni, poiché venivano sorprese dalle visioni. Si spostò di un passo, fronteggiando la ragazza bionda e guardandola per un momento, poi indietreggiò e si sedette sulla sua sedia, poggiando le braccia sui braccioli. Squadrò la strana famigliola che gli si era presentata davanti agli occhi, poi prese un bel respiro e tornò a parlare.
    « Dovrete mostrarmi i vostri poteri, Sigrid. Solo in questo modo potrò avere la certezza che voi siete, a tutti gli effetti, una völva. » disse, riferendosi direttamente alla biondina. Ricordava il suo nome grazie alla lettera, quindi qualcosa gli era effettivamente rimasto impresso. Un vociare indistinto si levò dalla folla, che cominciò a compattarsi: le gente iniziava a scambiarsi le prime opinioni. Poteva avvertire commenti di assenso, e ciò lo tranquillizzò un pochino. D'altra parte, quella era l'unica maniera in cui avrebbe potuto capire e, di conseguenza, giudicare. Non conosceva bene il mondo delle veggenti, e non aveva neanche idea se effettivamente potessero dominare i loro poteri. Insomma, non sapeva se la ragazza sarebbe potuta andare a comando. In un modo o nell'altro, comunque, Egon avrebbe dovuto interagire con questi sogni di cui parlavano i contadini. Magari avrebbero potuto tenerla sotto controllo durante il sonno. Le stava pensando un po' tutte per cercare di non fare brutta figura, ma soprattutto per non farsi vedere troppo distante dagli déi. Sapeva che la maggior parte della gente non l'avrebbe visto più di buon occhio, e ciò non andava chiaramente bene. Il suo consigliere era immobile, in piedi, e non sembrava volerlo guardare. Forse anche lui si sentiva un po' fuori posto in quella situazione, o magari non aveva idea di che cosa stesse succedendo. Egon poteva capirlo, dopotutto. Sospirò di nuovo, lanciando sguardi curiosi ai due coniugi, che a loro volta si guardarono. Chissà se la sua richiesta era assurda.

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    Edited by varden - 7/4/2015, 13:17
     
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    Sigrid Adakandottir; Völva
    oDIH06c
    Sigrid si sentiva addosso gli sguardi di tutto il thing. Era una sensazione urticante, l'epidermide le prudeva come se avesse trascorso la mattinata in mezzo a foglie di agave, aconito o ortica. Eppure gli unici occhi su cui aveva fissato lo sguardo, una volta che era riuscita a scollarlo dai suoi piedi, erano stati quelli di Jarl Egon. Avevano un che di malinconico, rifletté tra sé la schiava, o forse era il loro taglio all'ingiù a darle quella impressione.
    Di tutti gli occhi che la scrutavano, essi rappresentavano quelli del cui sguardo doveva preoccuparsi di più. Si sentiva stranamente inerme sotto l'occhiata dello Jarl, nonostante non fosse ostile, tutt'altro. Nulla a che vedere con Jarl Lothar. Lo aveva conosciuto quando era andato a far visita a suo padre; lui e l'Hersir dovevano discutere di un viaggio che stava pianificando, nel quale intendeva solcare il mare e spingersi oltre i soliti confini. In quell'occasione lo Jarl era stato abbastanza spiacevole con Sigrid, dal momento che l'aveva rimbottata in continuazione. Di certo lo aveva fatto con le migliori intenzioni, ma la ragazza era stata in un costante stato d'ansia che era cessato solo quando lui aveva lasciato la loro casa. Sentirsi giudicata per tutto il tempo era stato più di quanto aveva potuto sopportare.
    Ora, nonostante lo sguardo di Jarl Egon fosse certamente più morbido e indulgente di quello che Sigrid aveva subito in quell'occasione, si sentiva similmente a disagio. In quel caso infatti l'uomo avrebbe dovuto decidere del suo futuro e lei aveva l'impressione che tutta la sua vita fosse nelle sue mani.
    Non era certo la prima volta che si trovava così alla mercé di qualcun altro. L'essere la figlia di un Hersir avrebbe dovuto proteggerla, se tutto fosse andato come doveva andare le uniche autorità che avrebbe dovuto conoscere sarebbero state quelle di suo padre prima e di suo marito poi. Invece il tradimento di Adakan aveva cambiato tutto. Sigrid era stata sul punto di venire privata della sua vita, ma poi aveva perso solo la libertà. Mai avrebbe potuto immaginare di diventare la schiava di qualcuno. Quella condizione la umiliava, nonostante i suoi padroni fossero buoni con lei, tant'è che più volte la ragazza si era più volte riscoperta a domandarsi se non fosse stato meglio morire per mano di suo padre, come il resto dei suoi familiari.
    Lo Jarl avanzò verso di lei, aumentando la pressione del suo sguardo sulla ragazza. Lei lo sostenne fino a un certo punto, poi abbassò gli occhi, ma Jarl Egon tornò ad occupare il suo sedile rialzato.
    Disse che le völve non potevano occuparsi di semplici lavori manuali. Quelle parole accarezzarono la pelle di Sigrid come una pioggia leggera e tiepida. Quell'uomo le avrebbe forse restituito la libertà? Non sperava altro.
    Tuttavia lo Jarl continuò, dicendo che, prima di decidere qualsiasi cosa, lei avrebbe dovuto dimostrare le sue capacità.
    Gli occhi chiari della giovane saettarono nelle orbite, alla ricerca dei suoi padroni dietro di lei come di un appiglio. Non era certa di cosa avrebbe dovuto fare, lo Jarl si aspettava forse che lei pronunciasse una profezia proprio lì, davanti a tutti? Ma lei non era capace di richiamare le visioni a comando!
    Nervosa, si morse il labbro inferiore. Sperò che Torstein dicesse qualcosa, ma i suoi padroni tacevano, così fu costretta a prendere la parola personalmente.
    "Io non..." iniziò con voce gracchiante, ma subito dopo tacque.
    Si rese conto che se avesse detto di non essere capace di vedere ciò che voleva, quando voleva, non avrebbe deposto bene. Meglio mettere la questione in altri termini.
    "Io ho fatto un sogno su che ti riguardava... credo. Ho visto una Scheggia... si staccava dalla lama di una spada mentre questa andava a cozzare contro uno scudo. Ho visto lo scudo e la Scheggia fondersi insieme e dar vita a un'aquila, che subito dopo spiccava il volo e solcava i cieli."

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    Egon Leif Edricson; Jarl
    2mrxwtwSeduto sulla sua sedia, Egon poteva vedere come tutti e tre gli ospiti si torcessero le mani. Erano chiaramente nervosi, e forse era possibile che lo jarl avesse complicato ancora di più la situazione facendo quella richiesta. Non si consultava molto spesso con la loro völva, se non prima di una battaglia, quindi non conosceva bene le meccaniche che muovevano le loro visioni. Si sporse, appoggiando i gomiti sulle ginocchia ed unendo le mani, aspettando che succedesse qualcosa. I due coniugi si scambiarono un'occhiata preoccupata, poi la donna si soffermò per un momento sulla schiava. Egon scrutava la contadina con uno sguardo neutro, forse solo leggermente irritato dal suo comportamento: non l'aveva ancora vista incoraggiare un minimo la völva, che dopotutto era di sua proprietà. Erano venuti lì con uno scopo, giusto? E allora perché sembravano semplicemente imbambolati? Lo jarl inarcò un sopracciglio, passando agli occhi dell'uomo, ma neanche lui sembrava voler parlare. Per sicurezza, si voltò verso il suo consigliere, senza tuttavia far svanire la sua espressione vagamente irritata. Quello annuì lentamente, come a confermargli che non aveva poi chiesto il mondo, poi anche lui tornò a fissare gli ospiti. Tutta la stanza cominciò pian piano a riempirsi di bisbigli appena udibili, che chiaramente avrebbero complicato l'esecuzione di quell'ordine. Egon, ad un tratto, sbatté una mano contro il bracciolo, richiamando il silenzio. Le persone si zittirono immediatamente, fissandolo con gli occhi sgranati. Lo jarl volle aspettare ancora un poco, appoggiandosi contro lo schienale della sedia e fissando la biondina in viso. Sembrava un po' spaventata, e sicuramente era nervosa. Era anche una cosa abbastanza prevedibile, considerando che era davanti a tante persone che non conosceva, e soprattutto che non aveva idea di che cosa avrebbe potuto farle Egon. Se si fosse informata un poco, avrebbe saputo che, con lui, generalmente non c'era nulla da temere. I loro sguardi si fusero per un momento, poi lei si morse un labbro e provò a farfugliare qualcosa. Non fece in tempo ad aprire la bocca, però, che la richiuse immediatamente, come se ci avesse ripensato. Egon deglutì, espirando dal naso, quasi come se avesse perso la pazienza. All'improvviso, però, la voce della ragazza si fece un pochino più distinta: evidentemente, aveva preso un po' di coraggio. Disse di aver fatto un sogno su di lui, di aver visto una scheggia staccarsi da una spada e fondersi insieme ad uno scudo, per dare vita ad un'aquila. Quest'ultima, poi, aveva spiccato il volo ed era rimasta a librarsi in cielo. A quelle parole, lo jarl si alzò di scatto dalla sedia, rimanendo in piedi a fissarla. Aveva forse appena descritto la sua nascita? Ad Egon sembrava di aver visto un fantasma: quella biondina aveva descritto la sua nascita con delle metafore, ci avrebbe scommesso tutto l'oro del mondo. La sua bocca si schiuse, come se non si fosse per nulla aspettato che in realtà quella fosse una völva e potesse conoscere il suo passato. Ci poteva stare l'aquila, che era il simbolo di Gothenburg, ma come avrebbe potuto sapere che il soprannome di sua madre era stato Scheggia, negli anni della gioventù? Egon si ritrovò terribilmente scosso da quella rivelazione: aveva davanti una vera e propria völva, ne aveva le prove. Provò a scrutare quegli occhi con più convinzione, cercando una risposta a quell'assurdità. Anche le persone disposte ad anello ricominciarono a bisbigliare, probabilmente perché la gente del posto che aveva più di vent'anni era a conoscenza di quel dettaglio. Lo jarl non aveva idea di che cosa fosse appena successo: prima gli era sembrata titubante, impaurita, e poi gli aveva sparato così, su due piedi, quella visione. Si voltò leggermente verso il suo consigliere, che lo fissava piuttosto distratto: evidentemente, anche lui era piuttosto scosso. Egon tornò alla ragazza, facendo qualche passo in avanti senza smettere mai di guardarla. Mentre si avvicinava, qualcuno si azzardò ad urlare "è una völva!", mentre qualche altro scuoteva la testa o mormorava parole di dissenso. I due coniugi si strinsero nelle spalle, fissandolo un'espressione piuttosto imbarazzata, come se fossero a disagio per qualcosa. Fronteggiò la bionda, guardandola negli occhi, quasi per cercarne la verità all'interno. Unì le mani dietro alla schiena, poi sospirò ed aggrottò appena le sopracciglia.
    « Sapete comandare queste visioni? » le chiese dunque. Forse, essendo così giovane, aveva bisogno di una sorta di guida, di un maestro. La loro vecchia veggente sarebbe stata perfetta. In fondo, non si trattava di rubarle il lavoro, ma semplicemente di imparare dalla migliore. Quando, poi, la natura avrebbe fatto il suo corso, Sigrid avrebbe potuto prendere il suo posto. In altre parole, avevano appena trovato un successore. Non era ancora totalmente convinto delle sue doti, ma d'altra parte avrebbero avuto modo più avanti di metterle alla prova. Non aveva ben capito se i due coniugi volessero mollarla a lui o che altro. Una cosa era certa: non le sarebbe stato torto nessun capello, né tantomeno l'avrebbe tenuta in catene. Certo, si sarebbe dovuto assicurare che nessuno venisse a conoscenza dei suoi segreti tramite lei, ma per quello c'era tempo.

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    Sigrid Adakandottir; Völva
    oDIH06c Sigrid sbatté le palpebre, dubbiosa e in ansia.
    Si trovava in un luogo sconosciuto, in piedi di fronte a uomini mai visti prima e che nemmeno poteva considerare la sua gente. Avvertiva gli sguardi di tutti scottarle la pelle, come se fosse stata esposta a raggi solari troppo intensi. Sapeva che tutti quegli occhi non si limitavano a fissarla con intensità, ma nelle loro iridi la ragazza leggeva aspettativa, scetticismo, nervosismo, fiducia.
    Queste persone mi stanno giudicando, realizzò. Non era solo dell'opinione dello Jarl che doveva preoccuparsi, anche se naturalmente era quella a contare più delle altre, ma la gente nella langhus costituiva un gruppo unico e compatto, che avrebbe avuto una sola voce. Essa avrebbe avuto il suono di quella di Jarl Egon, ma questi avrebbe dovuto tenere in considerazione anche i sentimenti di quel gruppo di vichinghi che gli aveva giurato fedeltà.
    Sigrid abbassò lo sguardo e le sue spalle furono percorse da un tremito. Sapeva che, esposta com'era a tutti quegli sguardi indagatori, la cosa migliore per lei sarebbe stata mostrarsi sicura di ciò che sosteneva di essere. Nel suo immaginario e nel mondo che aveva osservato al fianco di suo padre le völve erano delle figure ammantate da un'aura mistica, erano austere e spesso algide e ciò bastava a incutere in chiunque si rivolgesse loro una sorta di timore reverenziale. Erano, in fondo, le intermediarie della volontà divina sulla Terra.
    Dal canto suo, Sigrid sapeva bene di essere quanto di più distante ci fosse dalle völve di cui aveva memoria. Aveva le mani coperte di calli, indossava gli stracci destinati a una schiava, aveva il volto smunto e gli occhi vacui, portava su di sé l'onta del tradimento di suo padre. E ora non faceva altro che mordersi nervosamente il labbro inferiore, desiderando ardentemente che tutto finisse in fretta.
    La richiesta di Jarl Egon per poco non l'aveva gettata nel panico. L'aveva destabilizzata così tanto che aveva dimenticato per un attimo il sogno che si era trovava a descrivere poco dopo. Quando lo aveva fatto, non era stata certa di cosa rappresentassero quella scheggia, quello scudo e soprattutto quell'aquila. Ma poi, trovatasi al cospetto di Jarl Egon, qualcosa dentro di lei le aveva suggerito che l'aquila rappresentasse proprio lui. Sperò però che nessuno le chiedesse di spiegare quell'associazione di immagini e figure perché non sarebbe stata capace.
    La reazione dell'uomo di fronte a lei le diede la sicurezza di aver detto qualcosa di profondamente giusto... o profondamente sbagliato. Jarl Egon infatti scattò in piedi, le pupille dilatate, le sopracciglia inarcate e le labbra schiuse. Il suo impeto fu tale che Sigrid dovette fare forza su di sé per non indietreggiare intimorita. Le si avvicinò e alcune voci iniziarono a risuonare intorno a loro: degli uomini sembravano persuasi che lei fosse una völva, ma il coro non era unanime.
    Sigrid deglutì a fatica, ma cercò di non abbassare di nuovo lo sguardo. Lo Jarl le chiese se sapesse comandare quelle visioni e, suo malgrado, la schiava fu costretta a dire la verità.
    "No, mio signore, purtroppo non ne sono capace." Fece una pausa, poi continuò: "E' da poco tempo che mi sono resa conto di ciò che sono in grado di fare. Fin da quando ero una bambina, gli incubi visitano spesso il mio sonno, ma in passato credevo che fossero solo brutti sogni. Se avevo delle visioni da sveglia, non me ne rendevo conto: o non avevo memoria di ciò che profetizzavo, o percepivo solo delle sensazioni indistinte. Con il passare del tempo le visioni sono state sempre più precise e io ne sono stata sempre più consapevole."

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    Egon Leif Edricson; Jarl
    2mrxwtwSarebbe stato terribile se tutto quello che stavano affrontando si fosse rivelato un imbroglio. Insomma, c'erano non pochi farabutti che giravano per il Regno Unificato, e spesso si affiancavano a ragazzi o ragazze innocenti. Non avrebbe potuto accettare la presenza di quella ragazza senza indagare. Lanciò un'occhiata incuriosita al suo consigliere, che sembrava non gradire quella situazione. Fissava la biondina con uno sguardo contrariato, come se non fosse totalmente convinto della sua storia. Inoltre, notava chiaramente come avesse stretto la mandibola: era nervoso. Forse non gradiva che ci fosse un'altra völva nei paraggi -anche perché, generalmente, non amava avere attorno persone che avrebbero potuto leggere la sua mente- o magari semplicemente non si fidava. Tornò a guardare Sigrid quando questa parlò, senza preoccuparsi della sua espressione ora più scura. Egon si innervosiva facilmente, non era un tipo poi così paziente. Sperava di non dover alzare la voce per tirare fuori le informazioni da quella ragazza. Quando lei gli disse che non sapeva comandare le sue visioni, però, lo jarl si raddrizzò, lasciando che la sua espressione si facesse un poco più curiosa. Rimase in silenzio, e la bionda continuò a parlare. Gli raccontò di come avesse scoperto da poco dei suoi presunti poteri, e di come si fosse resa conto da altrettanto poco di avere delle visioni precise. Egon si ritrovò a sospirare sonoramente, poi si passò una mano sul viso. Non aveva idea di che cosa avrebbe dovuto fare. Suo padre non gli aveva mai riferito come ci si comportava in quelle situazioni, perché anche lui non era mai stato troppo incline a frequentare certe persone. Si guardò attorno, cercando degli sguardi amici nei suoi guerrieri, ma, purtroppo, la situazione sembrava la stessa: alcuni annuivano convinti, altri gli rivolsero delle occhiate decisamente contrariate. Riconoscendo che così non sarebbe potuto andare avanti, si voltò verso il suo consigliere e lo fissò negli occhi.
    « Vai a chiamare la völva. » gli disse. L'uomo annuì, avviandosi subito verso la porta principale. Lo jarl tornò a guardare i suoi uomini prima e la sua ospite poi, cercando di capire dai suoi occhi se stesse dicendo la verità o meno. Decise di non preoccuparsi dei due contadini e di rivolgersi unicamente a lei, in modo che nessun'altro avrebbe potuto controbattere. D'altra parte, lui era pur sempre lo jarl.
    « Spero che conoscere qualcuno simile a te possa farti tranquillizzare. Voglio che tu sappia che puoi decidere se rimanere con noi o tornare indietro. Nessuno ti obbliga a restare. » le disse. Voleva veramente che Sigrid non si sentisse oppressa dalla sua presenza, sia perché odiava vedere le persone tremare davanti a lui, sia perché non era degno del suo nome. Aveva, infatti, la nomina di essere uno jarl giusto: non poteva fare il tiranno solo perché perdeva la pazienza. Fece dunque una piccola pausa, poi unì le mani in grembo ed abbassò leggermente la testa, sempre fissando la ragazza.
    « È inutile, comunque, che io ti dica che se torni indietro non potrò fare nulla per te. Se queste persone vorranno mantenerti come schiava, potranno farlo. » le disse dunque. Una volta che avrebbe deciso che cosa farsene della sua vita, allora Egon avrebbe agito. Era responsabile delle azioni di lei solo fino ad un certo punto: c'erano persone che erano comunque felici come schiavi, seppur non vivessero al meglio. Se se ne fosse voluta andare, lo jarl non l'avrebbe fermata. Qualcuno, attorno a loro, cominciò a borbottare. Dalla folla si levò qualche esclamazione, ma ce ne fu una in particolare che colpì lo jarl: "mandatela via". Egon aggrottò le sopracciglia, voltandosi verso la folla ed osservando ogni volto, come a voler cercare il responsabile. Alla fine, però, non trovandolo, si ritrovò a ridacchiare amaramente: con quale fegato si poteva domandare una cosa del genere? Come avrebbe potuto mandarla semplicemente via? Non era un mostro, né un tiranno. Chiunque avesse parlato, sicuramente non aveva la minima idea di come ci si potesse sentire a vivere in quel modo. Quella ragazza era chiaramente spaurita -oppure fingeva tremendamente bene di esserlo- perché non aveva idea di che cosa le stesse capitando. Non avrebbe potuto semplicemente mandarla via.

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    Sigrid Adakandottir; Völva
    oDIH06c Sigrid temeva di aver fatto un passo falso. Aveva paura di aver perso credibilità, confessando di non poter avere visioni a comando. Eppure non aveva potuto non dire la verità: se avesse mentito, riferendo qualcosa che probabilmente lo Jarl e tutti i presenti si aspettavano di sentire, di certo questi le avrebbero chiesto di profetizzare qualcosa in quel momento e lei non avrebbe potuto inventarsi nulla. Avrebbe fatto la figura della sciocca e la sua credibilità sarebbe scesa ancora più sotto terra: dopo di ciò nessuno avrebbe avuto dubbi sulla sua incapacità di predire alcunché.
    Così si era dovuta accontentare di confessare la verità, sperando che a Jarl Egon sarebbe bastata.
    Proprio quell'uomo la stava scrutando, mettendola inevitabilmente a disagio, tanto che la schiava fu costretta ad abbassare lo sguardo, chiedendosi se fosse diffidenza o incredulità quella che leggeva nei suoi occhi.
    I mormorii delle persone intorno a loro non facilitavano particolarmente la situazione, né aiutavano ad alleggerire il senso di disagio della ragazza.
    Lo Jarl sospirò rumorosamente, per poi passarsi una mano sul volto come se fosse stanco. Sigrid sapeva di aver detto e fatto tutto ciò che poteva per il momento, così rimase in attesa, un po' sulle spine. L'uomo si guardò intorno per qualche attimo, studiando i volti delle persone intorno a sé, e la völva decise di fare lo stesso. Vide visi glabri e altri coperti da folte barbe, lunghi capelli aggrovigliati dal vento o intrecciati da mani sapienti, reticoli di rughe e cicatrici di chi aveva visto troppe battaglie, sguardi foschi e diffidenti, altri incerti e dubbiosi, altri infine convinti e decisi. Furono questi ultimi a darle un briciolo di speranza: non tutta la gente che affollava la langhus era contro di lei, alcuni avevano l'aspetto di chi credeva alla sua storia.
    Ma non bastava: era necessario che anche Jarl Egon si convincesse che non mentiva.
    Da quando Sigrid aveva iniziato a comprendere cosa sarebbe accaduto, una piccola fiammella si era accesa nel suo petto. Ora la libertà, quella aveva conosciuto fin da quando era nata e che aveva perso, quella che continuava ad agognare nonostante tutto, poteva non essere un miraggio.
    Dopo lunghi attimi di silenzio da parte del signore della contea, finalmente questi prese una risoluzione e ordinò a un uomo lì vicino di andare a chiamare la völva. Sigrid avvertì un leggero crampo all'altezza dello stomaco: avrebbe chiesto alla völva del villaggio di riconoscere in lei le sue capacità? L'idea di essere sondata dallo sguardo di una persona che sapeva ciò che faceva la rese leggermente nervosa, ma poi si disse che non aveva nulla da temere: non mentiva, i suoi sogni di sangue erano reali.
    Quando Jarl Egon tornò a rivolgersi a lei, la schiava quasi sobbalzò nel sentire il suono della sua voce. Disse che la völva sarebbe servita a tranquillizzarla e solo in quel momento Sigrid si rese conto di quanto dovesse apparire nervosa.
    Scoprì che le poneva di fronte una scelta e lei si ammutolì. Era ancora una schiava, nonostante reclamasse delle speciali capacità, e gli schiavi non erano liberi di decidere per loro stessi. Nemmeno Torstein e Helga le avrebbero fatto una simile concessione, per quanto fossero stati sempre dei padroni piuttosto tolleranti e mai brutali. Invece Jarl Egon la stupiva. Le spiegò anche le implicazioni della sua decisione e la ragazza deglutì.
    Si sentiva frastornata, come se l'uomo avesse aperto di fronte a lei universi sconosciuti, eppure questi si aspettava una risposta e lei non poteva negargliela. Nonostante tutti i dubbi che la divoravano, di una cosa Sigrid era certa.
    "Non voglio tornare a essere una schiava" disse con un filo di voce.
    Fece una pausa, poi continuò. "Non so ancora come richiamare le visioni, ma sogno il futuro quasi ogni notte. Sono sicura che presto potrei dirti di più."

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    Egon Leif Edricson; Jarl
    2mrxwtwLa gente sembrava essersi ammutolita alla sua risata amara ed al suo conseguente discorso. Non era solito sollevare gli schiavi dai propri compiti, anche perché venivano pagati -anche se miseramente, ma non aveva proprio idea di cosa potersi inventare in quella situazione. Non aveva mai avuto a che fare con una veggente giovane in balìa del destino; sì, gli era capitato di dover decidere come dovesse lavorare la sua -nei limiti del possibile- ma aveva sempre preferito astenersi dal frequentare persone del genere, o comunque lasciargli fare il loro lavoro. Non essendo esperto e non praticando così attivamente la religione, non sapeva proprio benissimo che cosa volesse dire avere a che fare con una völva. La giovane sembrò sorpresa dalle sue richieste, ed effettivamente lo era anche Egon stesso: pur di trovare una soluzione, lo jarl si era buttato senza alcun tipo di imbracatura, insomma. La bionda, ovviamente, gli rispose dicendogli che non sarebbe voluta tornare ad essere una schiava, ed aggiunse poi che gli sarebbe tornata utile molto presto. Egon alzò lo sguardo verso i due proprietati di Sigrid, aspettandosi di leggerci del disapputo. Sia negli occhi di Helga che in quelli di Torstein, tuttavia, non vide alcun tipo di negatività. La donna fissava le spalle della sua schiava, e l'uomo aveva invece ricambiato il suo sguardo, come a domandarsi che cosa volesse da loro. Evidentemente, avevano deciso di non proferire parola per paura di irritarlo. Chiunque, dopotutto, sapeva che cosa volesse dire farlo arrabbiare. Sperò che ciò non privasse i suoi compagni dal dire ciò che pensavano. In un gesto automatico, Egon si guardò attorno, scorgendo facce totalmente neutre ed altre decisamente preoccupate. Non capiva come mai tutto ciò fosse un problema: non stava mica ospitando a casa sua il nemico. O almeno sperava. Tornò a fissare Sigrid negli occhi, notando una leggera scintilla di determinazione in essi. Le si avvicinò, poggiandole poi una mano sulla spalla esile e sorridendole tutto d'un tratto.
    « Lo spero. » le disse soltanto. Aveva quasi sussurrato in modo che lo sentisse solo lei, dunque aveva continuato a guardarla in volto fino a quando non era giunto il suo consigliere con la vecchia völva al seguito. La donna camminava piuttosto lentamente, e portava una lunga tunica porpora che le arrivava fino ai piedi. Nonostante fosse decisamente anziana, il suo volto non era poi così raggrinzito. L'unica cosa che la tradiva era l'andamento decisamente lento e la lunga chioma grigia, che le sfiorava il fondoschiena. Egon portò le braccia dietro la schiena, allontanandosi un poco da Sigrid ed osservando la donna avvicinarsi. Il suo consigliere gli si affiancò come sempre, incrociando le braccia al petto, e lo jarl gli lanciò un'occhiata fugace: sembrava soddisfatto. A quel punto, il ragazzo si mosse verso la völva e le offrì una mano, accompagnandola fino a raggiungere Sigrid. I suoi grandi occhi verdi erano così chiari da sembrare pressoché ciechi, e quando questi cominciarono a frugare la ragazza davanti a sé, lo jarl si voltò automaticamente verso di lei. Doveva probabilmente sentirsi violata, in qualche modo, ma Egon non aveva idea di quali fossero i poteri della donna. Immaginava non potesse leggere il pensiero, altrimenti avrebbe potuto usarla tempo addietro. Chissà se aveva avuto delle visioni riguardo quella potenziale allieva. Senza aspettare il consenso del conte, la donna fece un passo avanti e portò le dita raggrinzite alla cicatrice di Sigrid. La percorse molto lentamente, sussurrando qualcosa che probabilmente nessuno capì, poi le carezzò la stessa guancia che aveva appena esaminato.
    « Isa. » disse poi un poco più forte la völva. Jarl Egon aggrottò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto. Aveva sentito male lui, oppure la donna aveva appena detto il nome di una runa? Non riusciva proprio a capirle, queste völve. Sembravano sempre parlare in codice, e come se non bastasse raramente rivelavano il significato delle loro parole. Il ragazzo sospirò sonoramente, poi, preso dall'apparente noia, cominciò a guardarsi attorno, notando come il suo popolo fosse completamente attratto da ciò che stava succedendo. Inarcò un sopracciglio, tornando al suo consigliere, ma anch'esso pareva piuttosto preso. Solo lui si era stufato?
    « Sigrid nata dal ghiaccio, benvenuta a Gothenburg. » esclamò poi l'anziana donna, indietreggiando appena. Egon tornò a sedersi sulla sua sedia intagliata, stando bene attento a non farsi vedere troppo impaziente di terminarla lì. D'altra parte, lui non avrebbe potuto fare poi molto: cosa poteva uno jarl contro due völve? Avrebbero dovuto conversare tra di loro e capire che cosa fare. Egon aveva dato una possibilità a Sigrid, e lei sembrava averla colta. Stava poi a quest'ultima decidere che cosa farsene della sua libertà.

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    Sigrid Adakandottir; Völva
    oDIH06c Per qualche attimo, Sigrid sentì la folla rumoreggiare intorno a lei, come se, dotata di un udito finissimo, avesse percepito la sua volontà di non tornare a essere una schiava, nonostante lei l'avesse espressa a bassissima voce, in modo tale che pensava che lo stesso Jarl Egon avrebbe potuto udirla con difficoltà.
    Non doveva essere una cosa così consueta vedere una giovane schiava entrare nella langhus dello Jarl accompagnata dai suoi padroni e vederla andarsene con le sue gambe. Anzi, tutto ciò appariva così improbabile alla stessa Sigrid che stentava a credere a ciò che stava accadendo realmente: Egon la stava liberando.
    La ragazza si prese qualche istante per osservare il viso dell'uomo, quasi temendo di leggervi inganno o presa in giro. Invece i lineamenti dello Jarl erano distesi come quando lei, Helga e Torstein avevano fatto il loro ingresso in quella costruzione. Lo sguardo appariva leggermente fosco, ma Sigrid aveva ragione di credere che Egon fosse adombrato da altri pensieri, probabilmente gravanti ogni giorno sulla sua persona, e non che fosse impensierito dall'esistenza della schiava. Per il resto la piega delle labbra era rilassata, così come i muscoli del collo. Nulla nell'aspetto di quell'uomo suggeriva che stesse mentendo, magari per metterla alla prova, o che avrebbe cambiato idea.
    La folla intorno a loro smise di rumoreggiare, consentendo perciò alle parole di Jarl Egon, appena sussurrate, di giungere all'orecchio di Sigrid. La ragazza percepì il peso della mano di lui sulla sua spalla, nonché il calore emanato dal suo palmo, e fu incapace di ribattere alcunché o di proferire ulteriori rassicurazioni. Ad ogni modo il sorriso comparso sulle labbra dell'uomo era abbastanza franco da farle pensare che non ne avesse bisogno.
    Ben presto l'attenzione di tutti in quella langhus fu attirata però da una nuova figura; si trattava di una donna dall'età indefinibile, o almeno Sigrid non riuscì a immaginarla. I lunghi capelli grigi le suggerivano che fosse in là con gli anni, ma lo sguardo incredibilmente saldo e il volto piuttosto levigato contraddicevano quella supposizione.
    Skråma seppe che gli occhi chiarissimi della donna erano fissi su di lei dal primo momento che questa aveva messo piede nell'edificio. Li sentiva sulla sua pelle, come se avessero il potere di cuocerla a distanza. Immediatamente si sentì nuda e impotente di fronte a quello sguardo che la sondava fin nelle profondità del suo essere. Con la stessa sicurezza con cui sapeva di essere osservata, Sigrid seppe che quella era la völva del villaggio, mandata a chiamare da Jarl Egon.
    La giovane provò l'impulso di distogliere lo sguardo, ma scoprì che era incatenato a quello dell'anziana völva. La donna procedeva lentamente verso di lei, appoggiandosi col braccio a un uomo; quando la raggiunse, le sue dita si staccarono dall'arto del suo accompagnatore e raggiunsero la guancia di Sigrid. Nel momento stesso del contatto con le dita lunghe e nodose della donna, la sua mente le ripropose il momento in cui era stata venduta ai suoi padroni. Era stato in occasione di un assembramento di persone troppo ristretto per poter essere definito mercato, ma abbastanza nutrito da non apparire casuale. Sigrid ricordava di aver avuto gli occhi velati dalle lacrime mentre gli uomini e le donne scorrevano davanti a lei, osservandola, esaminandola, commentando la sua costituzione esile e lo sfregio sul suo volto. Quando era giunto Torstein, le aveva chiesto come si chiamasse. Sigrid non aveva risposto, la lingua incollata al palato dall'umiliazione e dal dolore. Così i suoi nuovi padroni avevano iniziato a chiamarla Skråma, cicatrice, e avevano continuato a farlo con una certa familiarità anche dopo che avevano appreso il suo vero nome.
    Le labbra raggrinzite della völva si schiusero, sussurrando una litania incomprensibile, poi chiamò la giovane. Ma non la appellò Skråma, come era accaduto appena era diventata schiava, o in altro modo simile. La chiamò Isa. Dentro di lei, qualcosa reagì.
    "Sigrid nata dal ghiaccio, benvenuta a Gothenburg" la accolse la donna. Sigrid avvertì gli occhi inumidirsi per una ragione che non riuscì a comprendere, poi la völva allontanò l'indice dalla sua cicatrice.
    Solo in quel momento la ragazza riuscì a distogliere lo sguardo da lei, mandandolo alla ricerca di Jarl Egon, quasi come se si aspettasse da lui un'indicazione, una rassicurazione qualsiasi. Ma lo Jarl non era più al suo fianco, era andato a sedersi sul seggio intagliato che gli apparteneva e dal quale esercitava il suo potere.
    Sigrid deglutì, tornando a voltarsi verso l'anziana donna. Aveva compreso che l'uomo l'aveva lasciata andare, ormai libera e padrona del suo destino. L'idea di tornare a decidere per se stessa quasi le diede le vertigini.
    Da quel momento, lo Jarl aveva smesso di curarsi di lei, acconsentendo a che facesse le sue scelte. Tutto ciò che Sigrid riusciva a vedere davanti a sé era la völva, che non l'aveva disconosciuta o scacciata, anzi aveva visto in lei il potere divinatorio e il ghiaccio della runa Isa. Era un segno dagli dei, non poteva essere diversamente. Colpita dalla possibilità di apprendere qualcosa da quella donna, la ragazza mosse un passo verso di lei e annuì, quasi questa le avesse posto una domanda silenziosa.
    Dentro il suo cuore, Sigrid sapeva che Gothenburg non era la sua casa, né lo sarebbe mai stata. Ma al momento non aveva nessun luogo dove andare e tanto da imparare.
    Tornò a voltarsi verso Jarl Egon, assiso sul suo seggio, e mosse alcuni passi verso di lui, rivolgendogli uno sguardo di gratitudine.
    "Mio signore, mi hai concesso il dono più grande che potessi farmi: una scelta. Desidero rimanere qualche tempo ancora con la völva del villaggio, se vorrà istruirmi, e imparare ciò che devo; dopodiché vedremo gli dei cosa hanno in serbo per me e dove mi condurranno." Fece una pausa in cui aspettò di scoprire l'effetto delle sue parole, poi avanzò ancora fino a prendere la mano di Jarl Ego tra le sue. Ne scrutò il palmo, poi sollevò di nuovo lo sguardo sui suoi occhi.
    "Anche io ho un dono per te: una promessa. Uno stormo, in cui tordi, falchi e colombe volano insieme. Un'aquila si separerà dagli altri uccelli per volare oltre le nubi, raggiungendo vette che nessuno ha mai sfidato. Le sue ali dorate getteranno un'ombra sulle Terre Libere. Accadrà prima di quanto tu possa immaginare."

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