E' sempre più facile ricambiare l'offesa che la gratitudine

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    SIGURÐR BJORG; JARL DI TRONDHEIM
    5Nhcbzr Era consapevole che un ruolo del genere gli avrebbe portato via de tempo, ma almeno sarebbe stato del tempo speso bene. Aveva passato gran parte della giornata ad incontrare varie persone, chiacchierare con gli Hersir e dare direttive per questioni sempre meno urgenti, fino a ritrovarsi affacciato sul cortile d’addestramento, osservando come i guerrieri si muovevano, schiavavano, affondavano e attaccavano. Molti di loro facevano progressi, passi da gigante e in pochi mesi sarebbero riusciti ad apprendere sempre di più, sotto l’ala del maestro d’armi Hansen. In tutta la contea non c’era uomo più fidato di lui e più competente.
    La grande palla infuocata nel cielo era oscurata dalle nuvole, i suoi pallidi raggi colpivano a malapena le loro teste, accompagnate da un vento gelido che scompigliava i capelli e muoveva qualsiasi cosa non abbastanza solida capace di restare a terra. Più guardava i guerrieri e più Sigurðr rimembrava i tempi in cui lui stesso era stato un semplice apprendista. Ricordava le cadute, le ferite ricevute da coloro che erano più esperti, gli schiaffi affinché imparasse a distinguere quello che era giusto da quello che era sbagliato. Se osservava attentamente ognuno di loro gli sembrava di non vedere i loro volti, ma il suo, riflesso in ognuno di quegli uomini. Il loro sangue sparso sulla terra era sintomo di stanchezza, i muscoli iniziavano a non rispondere più in modo attivo come prima. Insegnamento riversato sulla terra sacra, la stessa che gli avrebbe visti diventare dei guerrieri assetati di sangue, che non chiedevano nient’altro che salvare le loro vite e la loro patria. Gli avevano giurato fedeltà, avrebbero combattuto al suo fianco. Migliore soddisfazione non c’era alla fine di una battaglia.
    Cogliendo il suo sguardo, Hansen gli fece un cenno con la testa che Sigurðr ricambiò volentieri, mentre aiutandosi con i palmi saldi sul legno si diede una spinta, battendo una mano su di esso. L’aria fredda occupava ogni suo singolo pensiero e quella mattina non aveva ancora visto Svejna in giro, la pensò in una trattativa con qualche contea ai confini di Trondheim. Inizialmente era stato riluttante ad averla come consigliera, ma ogni volta che si ritrovava a pensare una cosa del genere da solo realizzava che, alla fine, i suoi consigli erano molto utili. La contea cresceva di popolazione e risorse, con sua somma soddisfazione e poco sollievo.
    Non appena varcò la soglia dell’ala principale della sua dimora, vi trovò l’ennesimo guerriero ad attenderlo in attesa di udienza. Sigurðr avanzò lentamente ma deciso, portandosi una mano dietro la schiena nuda, durante il giorno indossava solo una corazza da combattimento e gli spallacci di cuoio con delle braghe di pelle d’animale. Conosceva l’uomo che lo stava aspettando, era uno dei guerrieri che controllava la zona e gli arrivi, carovane e le merci dei mercanti.
    Jarl, i nuovi guerrieri imparano in fretta. Iniziò, battendosi un pugno in direzione del cuore, in segno di saluto.
    Sigurðr curvò di poco le labbra all’insù, esprimendo apprezzamento in quelle parole. Quando i guerrieri diventavano più forti, anche la sua soddisfazione nei loro confronti aumentava ed è per questo che quelli più meritevoli venivano premiati, come Ivar, il guerriero che aveva di fronte. Più robusto e con molti più capelli di lui, suo padre –prima di lui- era fedele al suo. Il figlio aveva seguito le sue stesse orme e il loro nome veniva portato alto nell’aggettivo di onore.
    Lo vedo, Ivar. Sono molto soddisfatto dei progressi svolti. Il guerriero chinò di poco la testa in avanti. A cosa devo la tua visita? Volle sapere lo Jarl, con sguardo indagatore, scrutando silenzioso il guerriero che ormai conosceva molto bene.
    Quando Ivar rialzò la testa, non perse tempo e informò il suo Signore sugli ultimi avvenimenti. Sono state catturate due donne, una di loro aveva dei figli con se. Senza scorta. Le abbiamo portate nelle segrete, abbiamo pensato che fosse mia premura avvisarvi.
    Sigurðr analizzò parola per parola, notando lo sguardo serio e composto del guerriero. Due donne, senza scorta e viaggiatrici attraverso le contee? Attraverso l’ignoto più che altro, visto che lui più di chiunque altro sapeva dei pericoli che si correva nell’attraversare una contea all’altra. Ora come ora non aveva nulla di meglio da fare, nessuno da ricevere, avrebbe potuto dare un’occhiata lui stesso. Del resto rientrava nelle sue facoltà.
    Hai fatto bene, Ivar. Portarmi da loro. Con un cenno d’assenso da parte del suo interlocutore, Sigurðr prese a seguirlo verso le scale di pietra che conducevano verso le segrete.
    Lì l’aria era ancora più fredda, unita anche all’umidità che si respirava e percepiva sulla propria pelle. Anche le sbarre delle celle erano umide, così come le catene, persino le pietre che circondavano l’area. Non erano celle del tutto vuote. Alcune erano occupate da prigionieri, invasori o appartenenti ad altre contee, superstiti di battaglie precedenti della quale il loro destino era ancora incerto. Poco a poco che si avvicinava Sigurðr, nell’oscurità illuminata solo dalle fiaccole appese alle pareti, osservava delle sagome prendere forma umana, scoprendo il colore della pelle e i lineamenti dei loro visi. Quando si fermò di fronte a due celle, capì di essere arrivato lì dove erano tenute prigioniere le due donne ma della quale attualmente ne riusciva a vedere solo una. Ivar prese a fare rumore con la spada alle sbarre, nell’intento di attirare l’attenzione della prigioniera sulle loro figure. Lo Jarl increspò le labbra in una linea dritta, osservando come le figure iniziavano a muoversi negli angoli scuri.

    ↘ C'è solo un modo: ucciderli tutti!

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    Edited by Kwëñthrïth - 27/1/2016, 13:18
     
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    Fummo catturate. Nonostante facemmo molta attenzione – Aeron ed io – i guerrieri appartenenti allo Jarl di quella contea ci scovarono e piuttosto velocemente, oltre che facilmente. Come avevo annunciato alla guerriera, avevo avuto sempre la sensazione che qualcuno fosse intento a seguirci e anche spiarci, specialmente quando il sole calava oltre le montagne, ciò nonostante, quei sentori non fecero altro che dimostrarsi tali. Almeno sicché i guerrieri rimasti nascosti nell'ombra, non trovarono momento propizio per agire. Benché la situazione si dimostrò incredibilmente pericolosa e anche ansiosa, abbandonai la mia terra madre, abbandonai la mia famiglia e anche le valli che avevo conosciute sin dalla più tenera età; per affrontare questo viaggio: questa ulteriore sfida e, gli Dèi – ne ero certa – avrebbero seguito e contemplato – benedicendo – l'ombra d'ogni mio passo.
    La mia bellissima Malmö, la terra dove venni alla luce e dove inizialmente conobbi le bellezze della vita, mi fu strappata letteralmente dalla mani.
    Al principio – nella mia ingenuità di fanciulla – non compresi in quali orrende mani venne posta la mia vita. Fui sempre stata del parere – almeno agli inizi di quello che fu il mio matrimonio – che l'uomo scelto e voluto, designato non solo da mio padre ma dal Re stesso; fosse stato un guerriero valoroso, possente, astuto e anche generoso. Un uomo, sostanzialmente, nato e cresciuto per adempiere al ruolo di Jarl e, incredibilmente illustre per divenire mio marito.
    Non venni mai meno nei miei compiti, neppure quando dinnanzi alle sue manchevolezze scoprii quanto inutile e iniqua fosse la sua indole. Incapace d'amministrare il suo vasto territorio, privo di ragionevolezza e anche astuzia per stipulare vantaggiosi trattati d'alleanza, mio marito era venuto meno. Pur tuttavia, conoscendo profondamente e personalmente le sue mancanze, provvidi sempre nel premiarlo e anche nel valorizzarlo; sebbene la maggior parte delle conquiste – diplomatiche – fui io stessa ad adempierle. Sapevo e conoscevo quale fosse il mio posto su questo mondo e, seguendo questi radicati e vigorosi principi: non feci altro che elevarlo.
    Gli diedi tre figli, i quali inizialmente sembrarono incapaci di scorgere le mancanze del loro genitore ma, i più grandi infine, riconobbero le sue inadeguatezze. Eppure continuai nel restagli affianco, anche quando abbandonava il nostro talamo nuziale per godere e umiliarmi con le sue amanti, innumerevoli, talune persino più sciocche e sporche di una scrofa di porcile.
    La mia tolleranza e anche la mia pazienza giunse al limite, allorché decisi di abbandonarlo, d'allontanarmi: lasciandomi alle spalle la terra che avevo amato e per la quale mi ero sempre prodigata, conducendo con me i miei figli. Lasciai a loro la libertà però, soprattutto ad Audun e Hjort i quali per quanto piccini e fantolini possedevano mente e giudizio capace di trarre personalmente e indipendentemente le loro conclusioni.
    Ciò nonostante il mio fine e anche il mio scopo veniva coccolato e alimentato dal mio risentimento nonché dalla mia spasmodica determinazione e volontà di vendicarmi. Avrei incontrato – con l'aiuto e il consiglio degli Dèi – l'uomo degno d'essermi marito, valoroso e coraggioso abbastanza d'affrontare il mio ex ed inutile sposo; permettendomi di risiedere nuovamente sullo scarno della Contea di Malmö quale Signora indiscussa.
    Fummo imprigionati, fummo scortati all'interno del villaggio e accolti come se fossimo stati dei nemici pronti a derubare quel poco che, tale contea, possedeva.
    I miei figli Audun e Hjort osservavano il tutto silenziosamente, sebbene nei loro occhi scorgessi coraggio ma anche timore per quello che sarebbe potuto accadere. Rauða contrariamente era la più piccina – aveva compiuto da poco tre anni – ed era anche la più spaventata di tutti. La tenni stretta fra le mie braccia, vicinissima al mio seno generoso e materno, tentando in questo modo di farla sentire protetta e al sicuro.
    Volsi di tanto in tanto, qualche sguardo ad Aeron e, successivamente non proferendo alcuna parola, fummo costrette ad abbandonare alle nostre spalle il carro – con sopra quel poco che avevo deciso di condurre e scortare con me, qualche cibagione – nonché il servo che mi aveva seguita: sebbene il suo compito fosse stato quello di guidare il carro, piuttosto che farci da guardia personale.
    Venimmo scortati all'interno d'una langhus la quale a differenza di tante altre che avevo contemplato nella mia Malmö, anziché costruita con tegole di legno era stata issata con pietre. Per tutto il nostro incedere, proseguii a passo lento, femminile e signorile, tenendo il mento parallelo al terreno, giacché non avevo alcunché di cui vergognarmi. Ero una Signora delle Terre del Regno Unificato, la quale però, andava alla ricerca di soddisfazione e vendetta personale.
    Gli Dèi inoltre, provvedevano a me e alla mia famiglia.
    Fummo rinchiusi in piccole stanze, ove le porte lignee vennero anche frammentate con lastre di metallo. Non ci venne offerto cibo e neanche acqua o birra, eppure i miei figli non si lamentarono. Rauða però, piccina com'era ebbe di tanto in tanto di che dissentire e lagnarsi.
    Trascorremmo a quel modo le ore. Fummo obbligate a dormire sul pavimento ligneo e sporco, difatti il mio abito dal pigmento corvino, abbellito da ricami scarlatti e dalla cintura di cuoio con fili dorati, si logorò e si sporcò; eppure nonostante questo, il mio sguardo, la mia apparente calma, il mio cipiglio e il mio atteggiamento si mantennero pacati e distinti.
    Persi cognizione del tempo giacché fummo imprigionate che il sole doveva ancora calare e, udimmo il suono dei passi quando il sole ormai era sorto: da diverse ore.
    Qualcuno però sopraggiunse. Udii chiaramente il suono della ferraglia, sbattuta e lasciata strusciare su quelle lance metalliche. Mi scostai dal gruppo, lasciando mia figlia Rauða alla cura di Aeron. I miei figli maschi mi guardarono ma, si fidarono di me; così come mi sarei aspettata. Avanzai di alcuni passi, appropinquandomi quindi alla soglia sbarrata e, gettai lo sguardo sui due uomini. I lunghissimi capelli castani mi ricadevano sulle spalle, andando a celarmi i seni, sino giù oltre l'ombelico: sebbene tali dettagli venissero nascosti dall'abito che avevo indosso.

    ↘ I have dreamed of lying naked… beside a man who is not my husband.

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    Carissima! Ho notato che nel tuo post la descrizione della langhus in cui i personaggi sono stati imprigionati, corrisponde troppo alle strutture dei Regni Cristiani. Nel mio post ho mantenuto velatamente le indicazioni che hai fornito, in questo modo non vengono a sorgere stranezze; pur tuttavia per la prossima volta tieni presente che le "case" dei nostri vinchinghi hanno queste sembianze: CLICCAMI


    Edited by Kwëñthrïth - 17/6/2015, 18:40
     
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    SIGURÐR BJORG; JARL DI TRONDHEIM
    5Nhcbzr La linea dritta delle sue labbra venne deformata dal labbro superiore, che venne separato appena dall’inferiore. L’espressione era interrogativa, talmente tanta che dovette scambiarsi uno sguardo con Ivar, che era al suo fianco. La schiena dritta e l’espressione seria lo faceva sembrare quasi un soldato degno di nota, ma in realtà era un guerriero, fatto e completo. Era sangue quello che i guerrieri bramavano, apparte la gloria. Alcuni di loro ne erano così accecati da vedere solo quello, non pensando minimamente alla propria vita o a quella degli altri abitanti della contea. Una cosa che si era sempre preoccupato di ricordare, durante un addestramento o il reclutamento di nuove forze. In questo non era minimamente simile a suo padre, neanche un po’. Non ricordava l’ultima volta che avesse richiamato uno dei suoi uomini perché si comportava in modo indegno o perché maltrattava una donna.
    Diversamente da ciò che poteva pensare, Sigurðr non tralasciò l’ipotesi che la donna che lo guardava, da i lunghi capelli apparentemente castani, potesse essere una spia. Altrimenti perché rinchiuderla? Si guardò un attimo attorno, non c’era traccia della seconda donna nominata da Ivar. Scrollò appena le spalle, sentiva la stanchezza accecargli anche la ragione. Si sarebbe preoccupato prima di lei e magari, dopo, dell’altra. Nell’oscurità non riusciva a vedere molto di ella, le era ignoto anche il colore dei capelli ma non i lineamenti del viso. Una torcia –appesa alla parete rocciosa- illuminava la poca area che li circondava. Facendo vagare un poco più in là lo sguardo, lo Jarl vide altre figure nella stessa cella e ricordò che Ivar aveva parlato anche dei figli, probabilmente della donna stessa. Ma in quel momento non erano in rilievo dei suoi pensieri, doveva sapere se era una spia e se lo era, che cosa voleva. Sigurðr aveva una legge molto severa per quanto riguardava le spie provenienti dalle altre contee oppure proprio dal Regno Unificato, li riteneva topi dentro la loro fogna personale, dove rotolavano nelle loro feci ed urine. Vi era un’eterna battaglia tra gli abitanti delle contee libere e quelli che rispondevano in nome del Re, un grande sire da non avere neanche gli attributi sufficienti per vincere da solo le proprie battaglie. Un essere ignobile che si vantava del suo sangue nobile, trattando gli altri come schiavi. Sigurðr non aveva di questi problemi, era nato nella contea libera di Trondheim ed era lì che sarebbe morto, da uomo libero. Lui si batteva nel suo nome, per quello di suo padre e di suo padre prima di lui.
    Ma c’erano battaglie che non potevano essere vinte con il metallo, ma solo con le parole, una cosa nella quale non era molto abile. Era facile che perdesse il controllo, contro un altro del suo stesso calibro. In questo caso, avrebbe usato la calma nella speranza di scoprire qualcosa con le buone. Non voleva dover essere obbligato a dover usare le maniere forti.
    Non vi pare una mossa avventata girovagare da sola, armata di una sola donna? Forse non era il miglior modo di iniziare ma come aveva già detto, non sapeva fare molto con le parole. Negli occhi della donna, illuminati dalla luce della torcia, non vi era sfumatura alcuna di terrore o paura, una cosa che gli faceva pensare. Non temete, sono lo Jarl di Trondheim e se ne voi e ne la vostra... scorta, sarete una minaccia non vi farò alcun male. Disse, scandendo parola per parola in modo che la donna potesse comprendere. Non faceva del male alle donne, se non era necessario. Già troppe volte aveva visto donne di ogni età essere maltrattate da uomini, donne innocenti, la quale colpa era essere troppo avventate in qualsiasi cosa.
    Sigurðr si portò le mani su i fianchi, volgendo lo sguardo lì dove vi erano le sagome che si muovevano nel buio, nella stessa cella della donna. Avrebbe voluto tranquillizzarli, dire loro che non avrebbe mai fatto del male a dei bambini. Ma in quel momento tentennava molto a riguardo. Voleva prima sapere se quella donna era una spia o se non lo era… che cosa ci faceva lì.
    Cerbero fece cadere lo sguardo al vestito della donna, per quanto poteva vedere. Non aveva mai visto una donna girovagare da sola da contea a contea, a meno che non fosse una guerriera e in quel caso le carta in tavola cambiavano. Rialzò lo sguardo sul suo viso, mentre sentiva un sospiro spazientito provenire dalle labbra di Ivar, ancora al suo fianco.
    Donna, lo Jarl ti ha fatto una domanda.
    Sigurðr si voltò verso di lui, lanciandogli un ammonimento tramite un’occhiataccia attraverso le proprie iridi chiare. La prudenza non era mai troppa, voleva prima di tutto indagare e il comportamento di Ivar non lo aiutava.
    Lasciami da solo con lei. Gli disse in seguito, ottenendo uno sguardo sorpreso proprio da parte del guerriero. Ma un’altra occhiataccia fece morire sul nascere altre parole inutili e quindi Ivar prese la strada verso l’uscita delle segrete, verso le scale.
    Lo Jarl rimase ad osservare la donna, in attesa di una sua parola. Aveva mandato via il guerriero perché con le cattive non si otteneva nulla.

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    Mi appropinquai maggiormente alla soglia, la quale venne ben richiusa, evitando accuratamente che io o i miei figli - Aeron compresa - potessimo in qualche modo fuggire da quello stato di prigionia.
    Conclusi di avvicinarmi, solo quando mi ritrovai talmente prossima all'anta lignea - inframmezzata dalle lastre metalliche nonché incredibilmente spesse, tanto che avrei potuto richiuderle parzialmente entro il mio palmo - riuscendo perfettamente a scorgere non solo le fattezze del primo uomo, i quale sfoggiava un'acconciatura assai corta, tanto diversa dagli uomini del Regno Unificato, ma anche quella dell'altro guerriero; il quale sostanzialmente - sospettai - dovesse essere l'Hersir del villaggio o semplicemente il braccio destro del primo.
    Il secondo uomo mi parve molto più adulto rispetto al primo. Aveva - a differenza del primo - una capigliatura bionda, incredibilmente lunga e anche poco curata. Le ciocche gli ricadevano lungo la schiena e anche sulle spalle ampie e muscolose - allenate e abituate agli scontri bellici - e, la capigliatura andava - sul petto - ad unirsi alla cascata folta della barba. Essa però, sfoggiava un pigmento seppur biondo ma leggermente più scuro, il quale sembrava possedere anche velati riflessi color della terra. Poiché tutto - me compresa - veniva illuminato dalla luce scarlatta e ambrata del fuoco - la torcia che il suddetto stringeva nell'ampio palmo - ogni fattezza e anche ogni sfumatura di tonalità, veniva in qualche modo oscurato e ambrato.
    Dilungai leggermente l'arto destro, andando ad avviluppare - per metà e non interamente - la lancia metallica. Avvertii sulla pelle una sensazione molto fresca e quasi rigenerante, specialmente data l'assenza prolungata di acqua o di birra. Le mie labbra e supponevo così anche quelle degli altri prigionieri - nonché miei figli e anche una nuova amica - erano divenute più ruvide, arricciate, per l'assenza del liquido che le bagnasse.
    Le membra ricevettero il medesimo trattamento. I nostri stomaci erano completamente vuoti e, sebbene noi adulti riuscissimo in qualche modo a sopraffare a tale stadio, dovevo ammettere che nutrivo molta preoccupazione e anche angoscia per i miei figli. Erano dei fantolini, vissuti e abituati nel ricevere quotidianamente una scorta di cibo - anche solo carne essiccata e formaggio - nonché acqua.
    Respirai profondamente, cercando momentaneamente d'allontanare dalla mia mente le angosce che solo una madre poteva provare per la propria prole, lasciata in quello stato di indifferenza e mancato riguardo.
    L'uomo, dalla pettinatura corta mi parlò e, mi rivolse quella che considerai una domanda retorica, nonché alquanto sciocca. Era ovvio che le mie azioni fossero state azzardate, ma dalla mia parte avevo l'aiuto e la salvaguardia degli Dèi e, inoltre, anche la volontà di riprendere il controllo delle terre che amavo e, che fui costretta nel lasciarmi alle spalle poiché priva di guerrieri e alleati che potessero lottare e vincerle in mio nome.
    Sono consapevole che la mia presenza in questo loco, possa sembrarvi azzardato, pur tuttavia, non avevo e non possiedo ancora, intenzioni maligne o colme di rivalità per la vostra gente e per il vostro territorio. Parlai con tono placido, sereno e anche tranquillo, il quale non mancò di mettere in risalto un'indicibile dolcezza. Mia madre mi insegnò bene le arti della diplomazia, giacché erano le belle parole, il buon carattere - provvisto anche da una dose ingente d'astuzia - a rendere disposte le persone al sottostare e adempiere le nostre richieste. Col miele si scorgevano i risultati, non con l'aceto.
    Jarl... Sussurrai, inchinando elegantemente il capo, il quale rialzai, donandogli quindi un'adeguata e degna riverenza; sottostando nonché accettando sostanzialmente la sua posizione privilegiata in quel villaggio. Io mi chiamo Sæunn e, i bambini sono i miei figli. Audun, Hjort e Rauða. Presentai la mia prole, cosicché lo Jarl potesse in qualche modo scorgerli come esseri viventi e non come bestie intrattabili. La guerriera, che avete confuso per la mia scorta, risponde al nome di Aeron. Ho incontrato ella, qualche ora prima che i vostri guerrieri ci catturassero. Esposi, facendogli velatamente comprendere ch'ella non faceva parte della mia famiglia.
    Il secondo uomo, sembrò molto spazientito dal mio atteggiamento e, non mancò a rinfacciarmelo, tuttavia lo Jarl lo scacciò; ambendo conferire privatamente con me. Seguii con lo sguardo l'allontanamento del secondo, riportando poi il mio riguardo sul volto del Signore delle Terre.
    Auspico abbiate riserbato il medesimo trattamento anche all'uomo che trainava il carro. Egli è il mio schiavo da molto tempo e, potrei considerarlo parte della mia famiglia. Chiesi, volendo sincerarmi che quell'uomo non subì alcuna umiliazione o anche battute violente.

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    SIGURÐR BJORG; JARL DI TRONDHEIM
    5Nhcbzr L’umidità era palpabile nell’aria e sulla pelle. In lontananza si poteva udire anche alcune gocce d’acqua cadere a terra, formando delle piccole pozzanghere all’interno del logoro pavimento, altrettanto freddo. Il clima da quelle parti era rigido, visto anche il mare irrequieto che vi era quel giorno. Un clima di certo non adatto ad una donna straniera. Non proveniva dalla sua contea, altrimenti l’avrebbe saputo e, bene o male, aveva imparato a distinguere i volti di ognuno dei propri abitanti. E li conosceva tutti, dal primo all’ultimo. Trondheim l’aveva visto nascere e crescere in quella terra consolidata dal regno di terrore di suo padre prima di lui. Ora gli abitanti erano un poco più tranquilli e continuavano le loro attività con molta più tranquillità e voglia di lavorare. Sigurðr non li trattava come schiavi, ma come persone libere. Libere di scelte, di andarsene o di restare. Altrimenti quella terra non sarebbe stata definita come tale.
    Ancora gli sfuggiva del perché una donna avrebbe dovuto allontanarsi da casa sua con dei figli a seguito. Stava fuggendo da qualcosa? Cerbero si stava sforzando di capirci meglio, senza dirlo apertamente e fidandosi solo del suo istinto. Prese a scrutarla nuovamente. Una spia non girava con dei bambini a seguito, quindi scartò l’idea che lo fosse, almeno per il momento. Era possibile che fosse una moglie ribelle invece e la cosa lo incuriosiva. Stette in silenzio, sentendola dire che non aveva ancora cattive intenzioni riguardo la gente della contea, la sua gente, il che fece rilassare di poco lo Jarl. Non voleva ancora cantare vittoria sul fatto che la donna fosse innocua, avrebbe costatato lui stesso.
    Allungo una mano verso la parete, poggiandola lì in modo da dargli sostegno. Nelle altre celle vi erano altri prigionieri, ognuno lì per un crimine diverso, che svegliati da quella discussione si erano attaccati alle sbarre con l’intento di sentire apertamente gli affari degli altri. Alcuni parlavano tra loro, in modo basso e poco udibile, e altri, armati di sassi, facevano dei segni sul pavimento. Altri ancora bevevano dalle piccole pozzanghere che si creavano all’interno delle celle.
    Sigurðr si voltò nuovamente verso la donna, prestando orecchio a ciò che disse. Accompagnata da una reverenza rispettosa del capo, si presentò, nominando anche i suoi figli chiamandoli per nome. Lo Jarl lanciò uno sguardo a questi ultimi, rintanati ancora in un angolo buio della cella. Fece loro un cenno con il capo, rivolgendosi nuovamente alla loro madre che aveva capito doveva chiamarsi Sæunn.
    E da dove provenite? Non siete della contea, altrimenti vi ricorderei certamente. Proferì, portando la mano libera dietro la schiena e attendendo una parola della donna.
    Aveva viaggiato, durante gli anni, nelle altre contee libere. Accadeva di rado, visto che quella che si occupava di cose come diplomazia, alleanze e cose varie era Svejna. Ma succedeva, molte delle volte, che fosse lo Jarl a presenziare dinanzi agli altri delle altre contee. E, parola sua, nessuna delle donne che aveva incontrato vestiva come Sæunn. Il gesto del capo aveva fatto scorgere alla fioca luce della torcia dei ricami scarlatti sul tessuto nero. Le ipotesi aumentavano a dismisura, ma come nascevano così morivano per qualche dettaglio in più che valorizzava la tesi del fatto che fosse una moglie ribelle o che comunque stava scappando da qualcosa.
    Ne aveva conosciute di donne dallo spirito libero, capaci di non adattarsi alla vita che gli Dei avevano scelto per ella. Non le giudicava e ne le riteneva sciocche da mollare tutto e fuggire in una terra lontana. D’altro canto la provenienza di Sæunn gli sarebbe servita per verificare se le teorie erano giuste.
    La donna, in seguito, parlò di un uomo, uno schiavo, che trainava il carro con la quale era venuta nella sua terra. Si guardò un attimo attorno. Ivar non aveva parlato di schiavi ma sapeva che fare del male a gente estranea era proibito, senza il suo consenso, e sicuramente doveva essere in una delle celle delle segrete, lì da qualche parte.
    Tranquillizzatevi, sarà certamente qui da qualche parte. Se risponderete con sincerità a qualche mia domanda, farò in modo che venga rilasciato, come anche voi e i vostri figli. Scendere a compromessi era una cosa nella quale aveva talento, lo faceva spesso con i mercanti o gli informatori che provenivano da ogni angolo delle contee, libere o sotto la sottomissione del Regno Unificato.

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    Nonostante l'illuminazione non fosse raggiante ma contrariamente infondeva e avvolgeva qualunque cosa, oggetto o essere vivente, in una velata ombrosità; non fu affatto difficile per me, scorgere e notare il modo in cui lo Jarl di questa contea proseguiva a contemplarmi: studiandomi.
    Sin da quanto ero una giovinetta, una fanciulla, prossima all'età adatta per condividere la mia persona ad un uomo, il quale sarebbe divenuto mio marito, non provai mai timidezza e neanche ribrezzo per gli sguardi che, i guerrieri o persino i semplici contadini mi rivolgevano e donavano. Fossero questi incoraggiati da semplice curiosità o studio, oppure più maliziosi e insinuanti, ebbi sempre e continuamente il potere di me stessa, non mancando neanche di rispetto ai suddetti. Indubbiamente se, coloro che mi rivolgevano tanto riguardo, non fossero stati apprezzati dalla mia indole, trovavo sempre un modo – gentile, diplomatico e anche cortese – per indurli a smettere qualsiasi contemplazione e studio mi stessero – o avessero – rivolto.
    Così come lo Jarl volle prendersi qualche istante per contemplare la mia figura, ispezionandomi come se andasse alla ricerca sul mio viso o sul mio indumento femmineo – il quale mi ricadeva morbidamente sui fianchi e, sul busto, valorizzando le sinuosità e le sottigliezze tipicamente femminili – di dettagli e anche peculiarità che potessero tranquillizzarlo circa la mia persona o, contrariamente, metterlo in allarme: anch'io mi riserbai di ricambiargli il medesimo trattamento.
    Lo esaminai, soffermandomi particolarmente sulla sua fisicità. Come notai antecedentemente la chioma sfoggiava un taglio corto – il quale sostanzialmente – veniva per la maggior parte utilizzato e portato dai giovanissimi; sebbene, dall'espressione del suo volto e anche dalla stazza del suo aspetto: avevo come l'impressione ch'egli non mi fosse poi molto più grande o piccino d'età. Vidi le iridi chiare del soggetto, sebbene col fuoco risultassero di un pigmento leggermente più scuro. Il naso era dritto – tipicamente nordico – e mi parve anche sprovvisto di strane cunette e storpiature. Le narici invece erano leggermente grandi, dettaglio che rendeva il setto nasale importante ma non sgradevole. Discesi con lo sguardo sulle sue labbra, notando attorno ad esse la peluria moderatamente scura e, onestamente, neanche troppo colta come il suo compare: il quale venne allontanato antecedentemente. Osservai il suo collo, slanciato e muscoloso dal quale si intravedeva – grazie anche alla luce prodotta dal fuoco – il pomo d'Adamo, pronunciato ma neanche troppo. Contemplai le sue spalle ampie e anche i suoi pettorali allenati – come ogni altro guerriero – pur tuttavia, abbandonai la mia contemplazione: risalendo con lo sguardo ed evitando accuratamente di spingermi troppo in basso. Fu così che mi resi conto di quanto fosse alto, probabilmente superava di alcune spanne il capo del mio ex marito.
    Distesi leggermente le labbra – ora rese un poco secche per l'assenza di acqua – ascoltando quello che mi rivolse. Volle chiedermi da dove provenissi e certamente non avrei mentito. Il mio scopo era quello di trovare un uomo degno e anche determinato nell'avvantaggiarmi, nell'accondiscendere alla mia sete di vendetta e, lo avrei premiato, maritandolo nonché permettendogli di fecondarmi: cosicché la sua stirpe continuasse a vivere e prosperare su questo mondo. Dopotutto questo era il compito di ogni donna, specialmente coloro che ambivano sottostare a tale responsabilità e dovere. Oltre a tutto ciò, ero anche una donna piuttosto gradevole nell'aspetto – anche se i miei difetti potevano piacere o meno – e, infine, la Dea Freyja mi aveva sempre benedetto: arricchendomi in fertilità.
    Giungo dalla Contea di Malmö, del Regno Unificato. Risposi solo allora alla sua domanda, ben sapendo che – se fosse stato un Jarl dedito ad informarsi soprattutto sui nemici del Regno – avrebbe sicuramente associato la mia figura allo Jarl; nonché alla volontà e anche alla mia decisione d'abbandonarlo. Persino i miei sudditi, a Malmö, apprezzarono e mi stimarono profondamente; sapendo di per loro come, il loro Jarl fosse un essere inutile: se comparato a me.
    Nuovamente inchinai ad issati il capo, in forma di tacito ringraziamento; quando seppi che il mio schiavo fu trattato bene. Risponderò a qualsiasi domanda mi porrete. Riferii, facendogli comprendere che non avevo alcuna intenzione di limitarlo o scontrarmi con la sua persona e con la sua volontà.

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    5Nhcbzr Malmö. Era questa la provenienza della donna.
    Sigurðr ne rimase leggermente colpito, infatti non faticò a nascondere un’espressione sorpresa come quella che era sul suo volto dalla carnagione scura. Aveva visto bene dunque. Era una straniera, in ogni senso. Se veniva dalle terre del Regno Unificato, voleva dire che stava scappando da qualcosa o molto probabilmente da qualcuno. Magari, come aveva già pensato prima, proprio da un marito. Per un attimo rivide in quella donna sua madre, e al desiderio nascosto che quest’ultima, forse, aveva provato quando era in vita e viveva con l’allora Jarl suo padre. Un uomo non degno di definirsi tale, a suo parere e a quello degli altri. Le uniche ad aver pianto erano state le prostitute che si portava nel letto la notte, alla sua morte. Era stato solo portatore di disgrazie, il cibo che scarseggiava, gli abitanti che minacciavano una rivolta con l’appoggio dei guerrieri, e la più importante: la morte di sua madre, alla notizia che aveva avuto una figlia bastarda da una delle sue amanti, in aggiunta cristiana. Ma quella era un’altra storia.
    Del resto il mondo si nutriva di storie come quelle e quella di Sæunn non doveva essere poi così diversa. Una donna, con molte probabilità appartenente ad un rango alto della stessa Malmö, che si ritrovava in una cella in una delle contee delle terre libere. Molto meglio della morte che avrebbe potuto incontrare, a suo parere.
    Agli occhi di Sigurðr tutte le persone che facevano parte del Regno Unificato non erano degni neanche della sua presenza, ma Sæunn era un eccezione. Voleva capirci meglio prima di dare un verdetto definitivo. Se liberarla o meno. Il suo sottostare al compromesso non faceva che aumentare le probabilità positive riguardo la sua liberazione da quel lugubre posto che iniziava a puzzare di urina e feci, probabilmente le stesse degli altri prigionieri.
    Sostituì la mano poggiata al muro con la propria schiena, rivolgendo lo sguardo sulla donna che lo osservava. Se avrebbe iniziato una conversazione, sarebbe stato facile scoprire se mentiva o meno. Quale vantaggio poteva avere con la menzogna? Solo la prigionia, magari a vita. Il fatto che provenisse da una zona che avrebbe sterminato seduta stante era già un punto a favore per decretare tale pena, ma non era una motivazione abbastanza valida. La riconosceva anche lui.
    Ci voleva qualcosa di solido per condannare alla prigionia a vita qualcuno, magari un crimine della quale non c’era perdono, quello della donna era solo l’essere fuggita, magari spinta da un desiderio di libertà o… vendetta. Perché cercarla proprio lì? Eliminò tali domande –le quale non avrebbero potuto trarne una risposta giusta- e gonfiò il petto con dell’aria, ricacciandola subito dopo.
    Cosa ci fate così lontana da casa? Siete scappata? Chiese senza troppi giri di parole, ormai in mente aveva una teoria e doveva solo verificare se le risposte che avrebbe ottenuto da Sæunn seguivano quel filo logico o meno.
    Cerbero non era un tipo che parlava molto con le donne, le uniche con la quale scambiava qualche parola erano le guerriere o le prostitute. Svejna era un caso apparte invece. Cercava di tollerarla quel poco che bastasse nell’arco di un’intera giornata, mandava giù i suoi consigli con molta difficoltà ma per lo meno la sua presenza lì se la guadagnava con trattative andate a buon fine con altri Jarl o con mercanti che venivano a Trondheim per vendere o pescare del pesce. Era la contea che offriva quel cibo con molta facilità, visto il mare e i molti pescatori che ne facevano uso. Se si guardava il mare durante una tempesta sembrava che volesse risucchiarti. Si provava una sensazione di vuoto immensa. Sensazione che molti dei suoi prigionieri, che aveva condannato a morte, avevano provato sulla propria pelle. Non vi era morte più atroce che morire per affogamento per le acque gelide di quella contea. In casi estremi invece, trovava la decapitazione il più semplice dei modi. Risparmiava a lui e a i suoi guerrieri un sacco di energie utili per qualche altra cosa.

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    I miei occhi rimasero fissi ancora sul volto del guerriero nonché Jarl della Contea, notando immediatamente non solo il mutamento della sua espressione – sembrò a dir poco sorpreso nell'avermi udita affermare il loco da cui provenivo – ma anche volle assecondare il cangiamento visivo con la postura. Adagiò la schiena sulla parete, mentre poc'anzi essa venne sono sfiorata dalla sua spalla. In questo modo, lo Jarl, sembrò appropinquarsi maggiormente alla soglia nonché alla mia figura imprigionata e sbarrata dietro a quell'anta lignea e massiccia.
    Dietro di me, udii chiaramente il leggero e sussurrato richiamo della mia figli minore Rauða, la quale sembrava essersi stancata nel restare abbracciata ad Aeron e, così come capitava spesso negli infanti tanto piccini, richieste – ostinatamente – il riguardo e l'abbraccio di sua madre.
    Voltai il capo, roteando leggermente su me stessa e successivamente, lanciai – rigirandomi – uno sguardo allo Jarl, scusandomi silenziosamente del mio movimento, nonché dell'allontanamento che avrei eseguito. Non avevo alcuna intenzione di porre termine al nostro colloquio, giacché a mio avviso, il solo modo per conquistarmi la libertà era quella di assecondare qualsiasi cosa avesse voluto ottenere – purché se onesta o quanto meno vantaggiosa per me – lo Jarl stesso.
    Sempre con la solita femminea movenza, la quale apparve molto elegante ed elevata, signorile, mi appropinquai al fianco di Aeron e, dilungando entrambe le braccia, andai a stringermi al seno la mia piccola figliola.
    Le donai un sorriso affettuoso e anche rassicurante, allorché ella andò a pigiare parte della sua fronte contro il lato del mio collo: attorcigliandomi con le sue bracciatine piccine e morbide.
    Innegabilmente ella, era una bellissima bambina e, a mio avviso, sarebbe divenuta anche una donna dall'aspetto invidiabile. Possedeva una chioma bionda – la quale ereditò dal padre – leggermente ondulata e, per quanto vivace fosse e fosse di conseguenza incline a sporcarsi, ella profumava sempre di buono. Aveva un nasino piccino e dalle narici strette, mentre le labbra a cuoricino sfoggiavano una tonalità rosata: molto salutare, sebbene al momento, fossero increspate come quelle di tutti. Aveva iridi chiarissime, in un primo momento potevano sembrare azzurre come il cielo d'estate, eppure, vicinissimo ed attorno alla pupilla si contemplavano sfumature di pigmenti diversi: tra i quali le tonalità smeraldine dei prati e anche quelli velatamente ambrati delle pietre più preziose. Non resistetti alla tentazione e, pur sapendola e vedendola leggermente sporca sulla faccetta rotonda, le donai un bacio.
    Poco dopo, ritornai sui miei passi, avvicinandomi nuovamente alla soglia, nonché allo Jarl. Mi appropinquai alla ferraglia e anche all'anta lignea, determinata ad ascoltarlo nonché ad udire qualunque cosa avesse desiderato rivelarmi. Onestamente fui del parere che avrebbe richiesto informazioni, magari chiedendomi per quale motivo avevo intrapreso un viaggio così lungo e anche lontano dai confini del Regno Unificato.
    Indubbiamente se avessi continuato il mio pellegrinaggio entro i confini del Regno, non sarei mai stata in grado di trovare un uomo degno e motivato nel combattere per la mia causa. Ogni singolo Jarl del Regno Unificato e, ogni singolo guerriero aveva posto la sua totale fedeltà al Re. Ogni Signore della terra era unito all'altro da matrimonio o patti d'alleanza e, ero sicura, che alcuno avrebbe tentato di rivoltare la pace instaurata. Solo i guerrieri e soprattutto gli Jarl delle Terre Libere, potevano accostarsi mirabilmente ai miei voleri e anche alle mie volontà; sempre se avessi trovato l'uomo giusto. Gli Dèi però, mi avrebbero certamente indicato e fatto comprendere chi sarebbe stato e, sempre, avrei assecondato le loro volontà.
    Ho convenuto abbandonare la mia terra e anche la mia gente, il mio popolo che mi amava e mi stimava, non potendo né riuscendo più condividere la medesima langhus con mio marito. Replicai sinceramente alla sua domanda, la quale infine, non si dimostrò molto lungi da come avevo sospettato che fosse. Nonostante la mia volontà e la mia fedeltà: egli è venuto meno a tutti i giuramenti promessi dinnanzi agli Dèi. Rivelai, discorrendo sempre con tono pacato e anche sereno, senza l'ombra di menzogna nel timbro e, con un'intrinseca sfumatura di pura cordialità – nonché buona disposizione – e dolcezza.
    Ora che avevo favellato e, col mio atteggiamento – n'ero più che certa, giacché persino un cerbiatto sarebbe stato considerato più pericoloso di me – auspicai semplicemente che lo Jarl, provvedesse a qualcosa di appropriato: soprattutto nei confronti dei miei figli. Qualunque cosa affermai e pronunciai, accompagnandola con educazione e cortesia, era un chiaro segnale che nulla avrei intrapreso per nuocere lui e la sua gente.
    Sperai vivamente che fosse un uomo comprensivo – sebbene nulla mi lasciò dubbiosa in merito – permettendomi di abbeverarmi, cibarmi e ripulirmi: così la mia prole e anche la mia nuova amica.

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    5Nhcbzr Rimase a contemplarla ancora per qualche secondo, sbattendo le palpebre un paio di volte. A suo avviso non le sembrava una donna pericolosa ma giacché proveniva da terre nemiche era suo dovere prendere ogni precauzione possibile, per non mettere in pericolo lui e la sua gente. Era una delle poche cose buone che gli aveva insegnato suo padre. Quell’infame che non si fidava neanche della sua stessa ombra, ma del resto non si sarebbe fidato neanche lui. In silenzio si chiese cosa avesse di pericoloso una donna del genere, disarmata poi e in quelle condizioni. Scosse appena la testa, pronto ad aggiungere qualche altra cosa in merito ma una voce, seguita poi da un movimento di Sæunn stessa lo fece tacere.
    La osservò anche quando le diede le spalle per andare a stringere al petto la figlia più piccola. Nell’oscurità non riusciva a vederne bene i lineamenti ma grazie sempre alla fioca luce della torcia riusciva a scoprire solo il colore della chioma della bambina, una cascata d’oro si ergeva sul suo capo da i lineamenti non ancora ben visibili ai suoi occhi. Per un attimo, quel gesto, li ricordò la bontà di sua madre Khaeela, morta per aver amato troppo l’uomo sbagliato. Una morte che era stata difficile da digerire, per il fanciullo che era all’epoca. Ricordava il suo corpo bendato di bianco, sulla pira funebre che prendeva fuoco, le fiamme divampare dissolvendosi in aria con una coltre di fumo nero. Alla fine non rimaneva che ceneri. E Sigurðr si era fermato spesso a contemplarle nei suoi ricordi, si aggrappava ad un sorriso, una carezza ricevuta da bambino e per un momento l’uomo che era adesso, certe volte più simile al padre di quanto vorrebbe, cessava di esistere per un breve tempo. Ma nella notte i fantasmi tornavano a tormentarlo e si muoveva nel suo giaciglio in modo irrequieto, come se neanche gli Dei potessero dargli pace.
    Tu sei come me. Buon sangue non mente mai. Sussurrava il fantasma di suo padre, il defunto Jarl di Trondheim, colui che aveva seminato terrore nella propria terra e della quale Cerbero stesso ne aveva raccolto solo che morte. Ma ogni notte, prima di addormentarsi, lo malediva e gli augurava di essere finito all’inferno per ciò che nella vita terrena aveva fatto, per averlo fatto crescere sotto i suoi obblighi e averlo reso la fotocopia di se stesso. Per questo non aveva legami duraturi con le donne, per questo preferiva le prostitute alle donne che nel corso della vita aveva incontrato. Perché morente o dolente, era il sangue di suo padre che gli scorreva nelle vene e non voleva ricadere nello stesso burrone che anni fa fece vittima il suo genitore stesso. Sarebbe stato un passo troppo falso da permettergli di rialzarsi e continuare la sua vita. Ma era anche vero che così facendo rischiava di lasciare Trondheim senza un erede, una delle cose della quale i suoi consiglieri lo riprendevano sempre, come se fosse un bambino di tre anni, incapace di governare su una contea.
    Solo gli Dei sanno qual è il mio destino. E l’accetterò ben volentieri, qualunque esso sia. Quando richiuse gli occhi per qualche secondo, e gli riaprì quello successivo, vide che Sæunn era tornata di fronte le grate della cella, pronta per rispondere alla sua domanda. La voce della donna faceva di poco eco nelle segrete ma in quel modo copriva il rumore delle gocce che insistentemente cadevano a terra, nelle pozzanghere. Ella raccontò del perché aveva abbandonato la sua terra e la sua gente –che a detta sua l’amavano e stimavano- e chi l’aveva spinta ad un simile gesto. Gli sembrava di aver già sentito una storia del genere. Si sforzò di pensare alla situazione della donna, lasciando perdere per un secondo il passato per pensare al presente.
    Capisco. Così dicendo, con una lieve spinta, si allontanò dalla parete rocciosa per andare a richiamare l’attenzione di un guerriero appostato all’entrata. Li fece cenno di seguirlo e così tornò alla cella dov’era prigioniera la donna con i bambini e l’altra sua amica. Disse al proprio guerriero di aprire le cella e di condurre le due donne e i bambini a darsi una ripulita, nonché a rifocillarsi in sua compagnia.
    Possiamo proseguire il nostro colloquio di fronte della carne, del pesce e della birra. Ho ancora delle domande per voi. Seguite pure il mio guerriero, vi condurrà a darvi una ripulita. Fece cenno con la mano all’uomo che aveva appena aperto la cella per far uscire i prigionieri che tali più non erano dal momento che abbandonavano le segrete. Ora che Sæunn gli aveva raccontato, anche se brevemente, i fatti della sua fuga sapeva che non era un pericolo per la sua contea e la sua gente e di questo, mentalmente, tirò un sospiro di sollievo.

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    Mi aspettai un commento, un'esclamazione e persino un'espressione, qualcosa insomma che inducesse e mi portasse a credere che lo Jarl, avesse cogitato e riflettuto sulle mie rivelazioni. Naturalmente tutto questo si verificò, eppure l'uomo sembrò molto propenso a non lasciarsi coinvolgere troppo, sia mediante l'espressione facciale che attraverso il comunissimo uso delle parole. Un commentò davvero blando, laconico e breve uscì dalle sue labbra; pur tuttavia la mia intenzione e così anche la mia speranza era tutt'altra. Desideravo e auspicavo spasmodicamente che mi permettesse d'uscire da quella prigione e, che permettesse altrettanto anche ai miei figli; nonché ad Aeron. Ambivo che ci fornisse ristoro e anche un'accoglienza cortese, giacché dopotutto, non fummo altro che di passaggio nella sua terra. Ciò nonostante ero consapevole come i Jarl delle Terre Libere, fossero inclini nel giudicare pericolosi e anche traditori i sudditi, i guerrieri e così i semplici villeggianti del Regno Unificato. La considerazione spregevole che loro ci donavano, era tuttavia ben ricambiata. Per quanto mi riguardava però, volli andare oltre a queste sciocche scaramucce, ambendo ottenere e intraprendere un sentiero più individuale e anche colmo di soddisfazione personale.
    Stringendo in braccio la mia piccola figlia, notai il movimento avanzato dallo Jarl. Egli si distaccò dalla parete e, mosse alcuni passi, voltandosi e richiamando l'attenzione di un guerriero. Questo accondiscese silenziosamente e celermente alle volontà del suo Signore, così i miei figli ed io, nonché Aeron, finalmente potemmo abbracciare moderatamente la libertà. La soglia venne schiusa, permettendoci quindi di varcarla. Così come mi aspettai lo Jarl mi permise di conquistare spazio, consentendomi anche di provvedere all'abluzione di me e della mia prole.
    Presumibilmente nella sua mente, iniziò ad affacciarsi il pensiero che, nonostante la bizzarria delle mie gesta e anche del mio palesarmi in quella terra straniera e ostinata, da trattati e anche divisione territoriale: ero ugualmente priva di malignità e intenzioni melliflue e pericolose per la sua gente. Non avevo, in effetti, alcuna intenzione di suscitare ulteriore ostilità con i miei fratelli di queste Contee, giacché il mio scopo era quello di prendere possesso dei confini e anche dei villaggi attualmente sotto il controllo del mio ex marito.
    I miei figli si distaccarono dalle pareti umide e si appropinquarono alla mia figura. Audun il maggiore, mi si parò al fianco, lanciando persino uno sguardo dubbioso e certamente geloso oltre che protettivo nei miei riguardi allo Jarl. Nonostante avesse compiuto undici anni, egli agiva e si atteggiava come se fosse "l'uomo" del nostro bislacco gruppo. Aveva ereditato parte della sua bellezza dal padre, sebbene la tonalità della chioma fosse mia e così come quella degli occhi. Il temperamento, invero, era molto simile al mio. Ereditò la mia abilità nella diplomazia, la mia sicurezza - la quale era lungi dall'essere considerata superbia - ma al contempo, aveva anche assorbito alcune inclinazioni comportamentali del padre: fortunatamente solo quelli positivi. Era abile e portato nell'arte del combattimento e, si dimostrò anche molto coraggioso.
    Grazie. Dissi allo Jarl, muovendo poi i miei passi, seguendo il guerriero. O miei figli mi restarono vicini e lo stesso fece Aeron.
    Fummo scortati all'esterno di quella langhus - che fu l'ubicazione della nostra iniziale prigionia - e successivamente, dopo aver camminato brevemente nel villaggio, rientrammo in un'altra costruzione. Passammo presso la sala principale, nella quale regnava - al centro - un fuoco alto e avvolgente. Il guerriero ci condusse oltre un tendaggio e, trovammo un'altra sala ampia. Colà trovammo tutto ciò che era necessario per noi, per l'abluzione di cui necessitavamo.
    I primi a ripulirsi furono i miei figli e, fui compiaciuta nello scorgere colà i loro abiti lindi, i quali ci scortammo appresso da Malmö. In seguito fu il turno di Aeron, cosicché mentr'ella potesse ripulirsi io badai ai miei figli, evitando accuratamente che potessero allontanarsi dalla nostra presenza e compagnia. Quando anch'ella concluse con l'abluzione, venne il mio turno. Mi spogliai liberandomi dell'indumento femmineo e, mi lavai, inumidendomi la pelle del corpo nonché quella del volto. Riserbai la medesima cura anche alla chioma, che sciacquai e, al termine, pettinandola la racchiusi in un intreccio - ciocche contro ciocche, partendo dalla base sul lato destro della tempia - spioventi sulla spalla: cosicché s'asciugasse più velocemente e, al contempo, mi cagionasse noia durante il desinare. Al termine, provvidi a celarmi il corpo ignudo, indossando - non il medesimo abito giacché sporco di fango e terriccio - un abito per forma molto simile al primo, sebbene il tessuto moderatamente grezzo sfoggiasse un pigmento scarlatto. Lo scollo rotondo e parzialmente profondo fu abbellito dall'orlo di fili intrecciati fulvi, dorati e argentati e, la medesima lavorazione si palesò anche sull'orlo inferiore dell'indumento - e della fascia - fu posta attorno alla mia vita: cosicché la mia figura venisse valorizzata.
    Infine, uscimmo da dietro il tendaggio e scorgemmo il medesimo guerriero che colà ci aveva condotti: attenderci.

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    SIGURÐR BJORG; JARL DI TRONDHEIM
    5Nhcbzr Quando il guerriero eseguì i suoi ordini, lo Jarl vide la donna, i suoi figlie e l’altra sua amica uscire dalla cella. Sotto la luce fioca della torcia poté finalmente scorgere i lineamenti di ognuno di loro, non meno non gli sfuggì l’occhiata che li rifilò uno dei bambini della donna. Sigurðr, in tutta risposta a quel breve sguardo, fece un’espressione soddisfatta. Un’occhiata gelosa e in ogni modo protettiva verso i confronti della propria madre, sebbene avesse un età molto precoce. Era una cosa che comunque apprezzava in un giovane fanciullo qual’era. Con il padre che aveva avuto, sicuramente, non doveva aver passato momenti migliori ed anche da questo proveniva lo sguardo protettivo nei confronti della madre, oltre che sicuramente un immenso affetto.
    Sæunn lo ringraziò e lo Jarl altro non fece se chinare leggermente il capo in avanti, come se le posizioni si fossero invertite all’improvviso. Era un segno di rispetto che aveva nei confronti di quella donna che non doveva aver visto momenti migliori, tutto qui. La guardò allontanarsi insieme al guerriero che gli aveva affidato, fedele agli ordini e non parlava se non gli veniva chiesto. Uno della quale fidarsi insomma. Attese ancora un attimo, poi decise di uscire anche lui dalle segrete, non aveva più nulla da fare lì. Uscendo, passò di fronte il cortile d’addestramento e richiamò l’attenzione di Ivar, restato fuori per tutto quel tempo.
    Con le donne vi era il conducente del carro. Uno schiavo. Trovalo e non fargli del male. Sentiva che il suo guerriero avrebbe avuto da ridire anche su quello. Infatti non mancò ad aprire le labbra per poi non far uscire nessuna parola. Anche perché Sigurðr aveva già preparato un’occhiataccia pronta da rifilargli. Odiava quando i suoi ordini venivano commentati con le solite frasi scontate e altrettanto odiava quando veniva trattato ancora come un ragazzino. Non era un bambino, sapeva prendere certe decisioni anche senza convocare consiglieri ed Hersir da ogni dove.
    Con uno sguardo che non ammetteva repliche alle sue istruzioni, lo Jarl si allontanò da Ivar, competente tanto quanto alcune volte insolente. C’era un banchetto da preparare. Richiamò l’attenzione di un guerriero posto di guardia di fronte la sua dimora.
    Raggiungi il tuo compagno e di lui che quando i nostri ospiti hanno finito di lavarsi e vestirsi, può condurli nella sala principale. Con un cenno d’assenso, il guerriero si apprestò ad allontanarsi per entrare in casa. Non appena varcò la soglia, la sala principale, dove veniva allestita per banchetti e cerimonie, apparì ai suoi occhi. Vuota e chiusa in un silenzio funebre. In fondo alla sala vi era un camino, con un grande tavolo formato ad “L” inversa. Candelabri spenti erano poggiati sulle assi di legno, a distanza l’uno dall’altro. Sulle pareti rocciose vi erano arazzi di ogni genere. La luce del giorno filtrava attraverso la finestra e questo faceva sì che non c’era bisogno di candele accese. Avanzò a passo spedito verso una soglia all’angolo, dove vi era la cucina. Diede disposizione di preparare del pesce, della carne cotta al vino, e della birra per i suoi ospiti. Riattraversò la sala, salendo le scale oscurate alla vista da una drappeggio verde, trovandosi al piano superiore. Nella sua stanza, che ridava esattamente sul cortile d’addestramento, trovò dell’acqua pulita. Mettendo le mani a coppa le immerse nella tinozza, portandosela poi al viso. Il contatto con l’acqua gelida fu rinfrescante e quasi rilassante. Si diede una pulita al viso sporco, alle mani e sulle braccia, mentre di sottofondo c’erano il cozzare delle spade e le urla del maestro d’armi che incitava i guerrieri di attaccare.
    Finito di lavarsi e asciugato, lo Jarl si sistemò il suo abbigliamento, che andava perfettamente bene così. Uscì e si diresse verso il piano inferiore dove vide già la tavola imbandita di ogni cosa aveva ordinato. Di sua sorella non vi era traccia, meglio così. Per una volta si sarebbe risparmiato i suoi preziosi consigli e avrebbe agito come meglio credeva. Raggiungendo la tavola, si sistemò la cintura dove vi era la sua spada e l’ascia. Non vi era pericolo che la donna volesse attentare alla sua vita, cercava solo riparo. Quindi la sciolse, poggiandola su un sedia lì in modo poco gentile. Infatti le lame fecero un rumore assordante, che riempì l’aria per alcuni secondi ma che poi ricadde nuovamente nel silenzio.

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    Volsi lo sguardo al guerriero, il quale attese silenziosamente oltre il tendaggio che io e anche la mia famiglia – con l'aggiunta di Aeron – avessimo concluso la nostra abluzione. Potevo asserire di sentirmi meglio, ora che la mia pelle era stata rinfrescata dall'acqua pulita e, mi ero anche scacciata di dosso quell'odore nauseabondo causato dall'umidità del loco in cui, antecedentemente, venimmo imprigionati e costretti nel restare.
    Non conobbi mai vivamente e personalmente la povertà. La mia famiglia si distinse sempre, specialmente mio padre, il quale intraprese la carriera del guerriero e, le sue poderose e coraggiosi imprese – benedette dagli Dèi – lo condussero assai lontano, oltre ogni limiti immaginabile. Vissi in quell'ambiente circondata dai miei fratelli e dalle mie sorelle. I nostri occhi infantili scorsero contadini zappare e coltivare la terra, talvolta con pessimi risultati – a causa di un clima eccessivamente rigido, ostile all'intero villaggio – pur tuttavia, mia madre mi insegnò sempre di donare riguardo specialmente a coloro che, la sera, si coricavano senza un tozzo di pane o della carne essiccata a riempirgli lo stomaco.
    Seguendo questi insegnamenti morali, insieme a molti altri, mi prodigai affinché la mia gente non dovesse mai ritrovarsi senza scorta di cibo o birra. Se il raccolto si dimostrava ostile e disagevole, provvedevo io stessa nello smistare le scorte per l'inverno – appartenenti allo Jarl – affinché la nostra gente potesse sempre ben volerlo e anche seguirlo; anche quando la sua sete di espansione andava chiaramente contro i benefici del villaggio e soprattutto delle genti che lo popolavano.
    I sudditi sostanzialmente, seguivano lui per accondiscendere e non mancare di rispetto alla sottoscritta. Ero io, la vera Signora e Contessa di Malmö e, il solo essere donna mi impediva di poter conquistare quel lembo di terreno che da sempre avevo conosciuto, amato e scoperto. Gli Dèi però, avrebbero sempre sorriso ad una donna coraggiosa e anche determinata, su questo non avevo dubbio alcuno. Freyja, Víðarr e Miðgarðsormr avrebbero seguito sempre l'ombra di ogni mio passo: conducendomi in questo sentiero, indubbiamente pericoloso e anche azzardato ma per nulla sprovvisto di riconoscimenti e benefici.
    Puoi condurci dal tuo Jarl. Dissi al guerriero, incoraggiandolo nel farci strada. Onestamente ero del parere che la langhus appartenente all'uomo con cui colloquiai poc'anzi, entro quella prigione non fosse lungi, anzi, ebbi quasi il sentore che fosse questa stessa: data l'imponenza e anche la grandezza delle stanze. Ciò nonostante, potevo anche sbagliarmi.
    Qualche istante successivo, mi resi conto che la mia supposizione si dimostrò errata. Uscimmo da quella struttura ove poc'anzi entrammo e provvedemmo alla nostra abluzione e, scortati dal guerriero, fummo invitati nell'avanzare e nell'insinuarci entro un'altra struttura. Dovetti ammettere che, questa, fu decisamente più ampia della precedente. Stringendo la manina piccina di Rauða, varcai per prima – subito dopo il guerriero – la soglia principale. Ci ritrovammo di conseguenza all'interno di un ambiente esteso, abbellito da travi di legno, un ampio tavolo, il fuoco acceso al centro della stanza, intento a riscaldare il tutto nonché anche disposto affinché la luce fosse appropriata.
    Innumerevoli erano le pellicce di orsi e altri animali feroci nonché locali, i quali vennero utilizzati non solo come coperte o come indumenti, ma anche come dei veri e propri abbellimenti per la sala. Deglutii, inumidendomi il labbro inferiore e, immediatamente venni accolta e avviluppata dalla fragranza deliziosa della carne e del pesce cotto. Mi sembrò persino di poter captare nell'aria la fragranza vivace della birra.
    Successivamente i miei occhi scorsero lo Jarl. Non aveva cangiato o migliorato il suo aspetto, tuttavia a differenza di poc'anzi, lo scorsi completamente sprovvisto di armamento. Mi sembrò un buon segno.
    Ci appropinquammo al tavolo e attendemmo l'invito dello Jarl prima di prendere posto. Rauða volle restarmi vicina, tuttavia i suoi fratelli maggiori seppero come farle concentrare la sua attenzione a ben altro. Il mio compito non era ancora concluso. L'uomo desiderava colloquiare ancora con me ed era appropriato che i bambini si concentrassero sulla cena e sul pasto; anziché sulle nostre favelle.
    Vi sono grata. Dissi allo Jarl alludendo non solo alla possibilità di ristorarci, ma anche dall'onestà che dimostrò, specialmente nel farci scorgere – nel loco in cui ci ripulimmo – i nostri effetti. Neppure un oggetto e neanche un otre risecchito ci venne confiscato.

    ↘ I have dreamed of lying naked… beside a man who is not my husband.

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    SIGURÐR BJORG; JARL DI TRONDHEIM
    5Nhcbzr Nell’attesa dei suoi ospiti, si sfregò le mani avvolte nel calore del camino acceso. Raramente si fermata a chiacchierare con qualcuno proveniente dal Regno Unificato, visto che tra le due frazioni vi era sempre una guerra aperta. Anche per fatti accaduti in passato, vi era sempre ostilità tra loro trasmessa poi ai figli dei figli delle contee libere e di quelle del Regno Unificato. Per quanto riguarda lui… più ne si teneva alla larga e meglio stava ma per la donna fuggitiva avrebbe fatto un eccezione. Voleva capirci ancora meglio in tutta quella storia. C’era qualcosa che non gli tornava. Tese i muscoli e le braccia in alto, stiracchiandosi. Al termine di quella giornata avrebbe avuto un largo sorriso a dipingergli il viso, riabbracciando il suo giaciglio e coricandosi su di esso per addormentarsi e risvegliarsi all’alba del nuovo giorno. I suoi sonni erano sempre irrequieti, tormentati da troppi pensieri, avrebbe dovuto prendere qualche intruglio, magari l’avrebbe chiesto alla guaritrice locale. Era una donna brava nel suo lavoro quanto bella e interessante.
    Dinanzi ai suoi occhi si manifestò la figura del suo guerriero e poi quella degli ospiti, interrompendo così i suoi pensieri. Sia le due donne che i bambini avevano un’aria più pulita e soprattutto Sæunn, aveva un aspetto molto più pulito e gradevole. Sigurðr mise le mani dietro la schiena, pronto per accoglierli. Li vide avanzare, la più piccola al fianco della madre così come per gli altri. Ora poteva scorgere i lineamenti di ognuno di loro e come aveva già potuto verificare nelle segrete, la minore di tutte aveva una lunga chioma bionda, perfettamente in contrasto con il colore di quella della loro madre. Gli altri due, invece, bene o male le somigliavano.
    Sigurðr andò loro incontro, scrutandoli uno per uno. Non voleva che fossero intimoriti dalla sua presenza, ora era anche disarmato, si presentava in pace al cospetto di quella Signora del Regno Unificato. Non che non ne aveva mai vista una, ma quella che aveva di fronte aveva un odore di libertà repressa. Per questo era curioso di sapere qualcosa su di lei. Bene o male aveva imparato a conoscere le donne nel corso della sua vita e ricordava ancora la prima volta che era stato con una di loro. Era stato suo padre a spingerlo tra le braccia della prima prostituta e da allora non aveva più smesso. Tutte le donne sognavano di avere propria libertà di scelta. Fu un allegamento a quell’ultimo pensiero che Cerbero si chiese del perché aveva deciso di sposare il marito, visto che gli era infedele. Ammesso e concesso che fosse stata una sua scelta.
    Sæunn lo ringraziò, aveva un timbro di voce forte e Sigurðr ne colse ogni sfumatura. Lo Jarl curvò appena le labbra all’insù, annuendo leggermente.
    Dovere. Commentò semplicemente. In verità era stato un obbligo verso al come era abituato lui a trattare le donne, che si trattino di contadine o semplicemente nobili. Prego, accomodatevi pure. E fece segno dei molti posti liberi che avrebbero potuto occupare a loro piacimento. Cerbero occupò il posto centrale, aspettando che anche i suoi ospiti si furono seduti così che potevano iniziare a servirli. Due servi, infatti, si presero l’impegno di servire lo Jarl e i propri ospiti con le leccornie che lui stesso aveva ordinato che venissero servite.
    Dunque, vi siete rinfrescata e data una ripulita. Adesso possiamo continuare la nostra conversazione. Sentenziò, prendendo a sorseggiare della birra che gli era stata versata. Avete detto che siete fuggita da vostro marito perché ha mancato la promessa fatta dinanzi agli Dei. Avete parenti in una delle contee libere per caso? Volle sapere, mentre prendeva un pezzo di carne e l’addentava come se non ci fosse un domani. Aveva un modo poco fine ma in quel momento era l’ultima delle sue preoccupazioni. Immaginò che la donna avesse viaggiato così a lungo perché avesse qualche parente o un amico fidato in una delle contee libere. Altrimenti perché viaggiare alla cieca?

    ↘ C'è solo un modo: ucciderli tutti!

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    Sæunn Jølsen; Ex Moglie Jarl Malmö
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    Lo Jarl si issò dalla propria seduta, donandoci un'adeguata seppur moderata accoglienza. Distesi leggermente le labbra, ricambiando l'espressione cortese, la quale volle tacitamente apprezzare e anche instaurare un'atmosfera priva di tensioni. Avremmo trascorso le ore desinando, deliziandoci e riempiendoci gli stomaci dalle bontà e delle delizie preparate appositamente per la cena e, per quanto mi riguardava, il tutto sarebbe stato frammentato anche dalla conversazione che avrei intrapresa con l'uomo.
    Prendemmo posto alla tavolata. Con un movimento dell'arto provvidi a lisciarmi la vesta, all'altezza delle cosce e, successivamente i miei figli provvidero ad accomodarsi; sebbene mi rimasero appropinquati al fianco; pur tuttavia, lanciando uno sguardo eloquente e anche complice ad Aeron, l'invitai gentilmente nel provvedere e nel catturare completamente l'attenzione della mia prole: cosicché la conversazione con lo Jarl potesse svolgersi senza alcuna interruzione. Lanciai inizialmente uno sguardo a loro, notando in che modo Audun e persino Hjort contemplarono i vassoi colmi di carne, pesce, formaggi e anche frutta essiccata.
    Erano trascorsi innumerevoli giorni dall'ultima volta che potemmo degustare della carne e anche del pesce fresco. Indubbiamente chiunque volle donarci ospitalità si prodigò nel riserbarci il meglio ma questo accadde quando ancora ci ritrovammo entro i confini del Regno Unificato; giacché quando ce lo lasciammo alle spalle, ogni cortesia e gentilezza venne scambiata con diffidenza e anche dubbiosità. Ciò nonostante fui consapevole che il trattamento ricevuto in quelle terre straniere – anche se confinanti e vicinissime a quelle che avevo sempre amato – non sarebbe stato differente o migliore, al contrario, seppi perfettamente che il viaggio si sarebbe dimostrato tortuoso e anche pericoloso. Eppure non avevo alcuna intenzione di demordere e neanche di arrendermi. Ero benedetta e ben voluta dagli Dèi di conseguenza, sapevo che anche dinnanzi alle difficoltà; loro avrebbero sempre riguardato me e la mia famiglia.
    Scorsi mio figlio Hjort adocchiare un'ampia e grassoccia coscia di pollo. La carne dell'animale, specialmente la pelle spiumata sfoggiava un colorito ambrato scuro, il quale lo rendeva appetibile e annunciava non solo il gusto intenso ma anche la consistenza croccante sotto i denti, dopo averne dato un morso. Sebbene il banchetto potesse considerarsi iniziato, i miei figli e anche io stessa, attendemmo che il primo a cibarsi fosse lo Jarl. Vi erano due motivi prestabiliti che ci spinsero a tutti nell'agire a quel modo. Il primo concerneva una forma di rispetto e riguardo, soprattutto per la sua posizione e rango, la seconda invero, fu incoraggiata dall'astuzia. Benché l'uomo si dimostrò gentile e ospitale – in parte – non potevamo asserire di conoscerlo. Era meglio non fidarsi troppo.
    Comunque sia, dopo che masticò il primo boccone e nulla di bislacco avvenne, ci dedicammo nel recuperare parte delle pietanze che più di tutte, avevano coloro il nostro interessamento. Il mio primogenito andò a recuperare un bel pezzo di carne, costole di maiale, il mio secondogenito, invece, recuperò quella coscia grande e croccante di pollo, mentre la mia più piccolina trovò molto più affine al suo palato il formaggio tagliato a pezzi. Né prese una manciata con la sua manina piccina e, provvide a cibarsi anche se con movenze un po' goffe e infantili. La contemplai e non potei fare a meno di sorriderle, con dolcezza e amore materno.
    Infine provvidi io stessa nel recuperare un poco di cibo. Come mia figlia volli prendere qualche pezzo di formaggio che disposi sotto al mio naso e, poco dopo, sempre con movenze eleganti, recuperai della frutta secca e, per ultimo un pezzo di pesce arrostito sul fuoco. Masticai la prima noce, accompagnandola col formaggio e, quando conclusi il boccone potei finalmente concentrarmi sulla domanda postami dallo Jarl.
    Sarebbe più appropriato affermare che ho voluto lasciarlo. Non sono fuggita, neanche sfruttando l'oscurità della sera, invero, ho fatto preparare il carro e ho salutato la mia gente che il sole era sorto e rischiarava ormai da mezzo dì il cielo. Precisai, facendo comprendere allo Jarl che la mia decisione non avvenne segretamente. Fu una scelta che intrapresi con coscienza e anche con determinazione: difatti non mi voltai mai indietro. Inoltre, lasciai ai miei figli maggiori la possibilità se restare col padre o seguirmi e, loro, scelsero me.
    No, nessun parente. Risposi successivamente, dilungando il braccio verso il corno, il quale, venne celermente riempito di birra dal servo: appropinquato alle mie spalle.

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    Edited by Kwëñthrïth - 21/6/2015, 17:15
     
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    SIGURÐR BJORG; JARL DI TRONDHEIM
    5Nhcbzr Era da tempo che non si cibava tranquillamente di qualcosa. Solitamente aveva sempre da fare, specialmente nei giorni precedenti. Alcuni mercanti litigavano in continuazione tra loro, specialmente se appartenevano ad altre contee libere e magari passavano per la sua terra alla ricerca di qualcosa di più vendibile. Le loro merci erano tutte ottime, lui stesso le valutava alcune volte. La carne della quale deliziavano quel giorno era stata catturata da lui stesso proprio pochi giorni fa. Cacciare, oltre che aiutare a rilassarlo, lo aiutava a non pensare e a farlo essere più libero da eventuali obblighi e doveri. Anche se sapeva che una volta rientrato nella sua dimora questi avrebbero ripreso a torturarlo come al solito. Ma ad ogni alba del nuovo giorno, ad un nuovo sole, vi erano sempre nuove soluzioni a tutto. Era per questo che si circondava solo di persone della quale si fidava, che fossero guerrieri, Hersir o comuni cittadini che ne capivano qualcosa a proposito di battaglie e strategie. Cerbero passava le ore di fronte la mappa strategica, alla vigilia di ogni battaglia, nel tentativo di uscirne vincitore con la vita salva dei suoi uomini, e la sua chiaramente.
    Talvolta sentiva anche i consigli provenienti dalle labbra di Svejna. Bocca che si riempiva sempre di parole troppo grandi per una innocua e fragile creatura qual’era. Non la credeva debole, più volte gliene aveva dato prova, ma non riusciva ad accettare il suo carattere di imporre i propri consigli agli altri. Il più delle volte era arrivato alla conclusione che non riusciva a tollerarla del tutto del fatto che non voleva vedere quanto ella in realtà assomigliasse al loro padre. Apparte lo sguardo fiero e il mento alto, vi era il carattere di una leonessa celato in quella donna. Ecco, il carattere della sorellastra, per un breve istante, lo accantonò a quello della donna non appena sentì ciò che disse in merito alla sua fuga che così poi non poteva neanche chiamarsi visto che di comune accordo se ne era andata. Molto probabilmente anche Sæunn aveva un carattere dominato dalla voglia di essere libera o magari semplicemente rispettata, specialmente dal marito che a detta sua si era rivelato l’opposto di fedele ai suoi doveri.
    Non voleva rispondere con le solite frasi di circostanza, dirgli che la capiva. Non sarebbe servito a niente, giacché sarebbe stato l’incontrario. Sigurðr non riusciva a capirla e non l’avrebbe mai fatto, vista la sua natura molto libera in fatto di fedeltà. Non sapeva neanche cosa significasse. Non aveva mai avuto una donna fissa e neanche contava di averla. Non quando poteva averne tutte e quando voleva.
    Coraggioso da parte vostra. Commentò semplicemente, sorseggiando della birra, seguita a ruota da un altro pezzo di carne che mandò giù per la gola in modo silenzioso. Con la coda dell’occhio vide che anche i suoi ospiti avevano iniziato a servirsi e sembravano parecchio affamati. Li osservò rapidamente, uno per uno. Desinavano in silenzio, con sguardo concentrato sul cibo che masticavano. Lo Jarl riportò la sua attenzione su Sæunn quando le disse che non aveva alcun parente nelle altre contee libere. Alzò un sopracciglio. Poteva comprendere che nascondersi in un’altra delle contee sotto il dominio del Regno Unificato poteva essere sconveniente ma nascondersi lì? Ammesso e concesso che la dama avesse desiderio di nascondersi. No, non poteva andare ad intuito. Doveva scoprire le sue vere intenzioni.
    Ed ora cosa contate di fare? Qual è la vostra meta? Chiese ancora, continuando a mangiare il suo pezzo di carne fino a finirlo, mandando giù il tutto con un altro sorso di birra.


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